Cari fratelli Laziali,

qualche giorno fa in onda su Radio Sei una frase di Tommaso Paradiso ci ha strappato un sorriso. Il lazialissimo cantautore romano, intervistato da Guido De Angelis sull’andamento della Lazio in questo inizio di stagione, commentando l’ennesima sosta per la Nazionale ha esclamato: “Che Palle ‘sta sosta!” aggiungendo immediatamente un candido “Se può di?”. Ebbene, pensiamo che questo cantante dalla voce inconfondibile abbia interpretato da par suo lo stato d’animo del tifoso laziale. Già, perché dopo la batosta di Bologna avremmo avuto la voglia di spaccare tutto, magari cominciando dall’Inter, il nostro prossimo avversario. Fa una certa impressione guardare all’Inter come la squadra di Simone Inzaghi ma questo è il Calcio, ed è stato così da sempre, anche negli anni ruggenti che il tempo trascorso ci fa apparire più romantici. È inutile fare del falso moralismo: Simone farà di tutto per vincere contro la sua ex squadra, non perché sia un professionista ingrato (altra espressione ipocrita) ma perché deve provare a vincere lo scudetto. Mancano poche ore alla partita. Si discute del caro-biglietti e della scarsissima affidabilità di DAZN e quasi ci dimentichiamo che ci giocheremo tantissimo sabato sera, molto di più di quel immaginiamo. Guardate la classifica, un altro schiaffone diventerebbe preoccupante.

Perciò tuffiamoci nelle acque del ricordo di un giorno lontano. La metafora non è casuale. Perché quella domenica 26 febbraio 1978, per la 20° giornata del Campionato di Serie A 1977-78, il terreno dell’Olimpico era una specie di piscina, o per meglio dire, un paludoso pantano.

Tanto per restare in tema, per noi pioveva sul bagnato. Dopo un inizio sfolgorante (in ottobre, il sommo Gianni Brera arrivò a sostenere che la Lazio giocasse il miglior football d’Italia) dalla ripresa dalle vacanze natalizie la squadra appare molle e deconcentrata.  La settimana che precede Lazio-Inter è carica di tensioni. Sul banco degli imputati c’è Luis Vinicio, reo secondo molti di aver demolito del tutto o quasi la Lazio scudettata di quattro anni prima. La scelta fatta sul portiere Garella funge da catalizzatore per tutte queste polemiche. Sostituire un mostro sacro come Felice Pulici sarebbe stata impresa ardua per chiunque ma corre l’obbligo di rilevare che anche i gioiellini Manfredonia, Agostinelli e Giordano sembrano vivere una crisi d’identità. Il mite Sor Umberto ha perso la pazienza: in caso di sconfitta Vinicio sarà esonerato.

Non fa particolarmente freddo ma la pioggia incessante ti entra nelle ossa. Quando i giocatori si dispongono davanti alla tribuna Monte Mario sono già praticamente zuppi. Figuratevi noi tifosi in attesa da oltre un’ora, alle prese con il gocciolio di acqua gelida che cola dall’ombrello del vicino e ti passa per il colletto della camicia. Ma siamo pazzi per la Lazio e ci mettiamo subito ad incoraggiare i nostri: Garella, Pighin, Badiani, Wilson, Manfredonia, Lopez, Garlaschelli, Agostinelli, Clerici, Giordano e Boccolini.

L’Inter schiera Bordon, Canuti, Beppe Baresi, Oriali, Gasparini, Facchetti, Scanziani, Marini, Anastasi, Chierico e Muraro. Eugenio Bersellini tiene in panchina il futuro campione del mondo Spillo Altobelli e a guardar uno ad uno i nomi nella formazione milanese, ci si accorge che parliamo di gente che ha scritto la storia del Calcio italiano: Facchetti, Anastasi, Baresi, Bordon, Oriali, Marini. 

È la partita più importante della domenica e a dirigerla viene chiamato l’internazionale Sergio Gonella. È uno dei più bravi al mondo, toccherà a lui la direzione di Olanda Argentina, la finale del mondiale dei generali della dittatura argentina, esattamente quattro mesi più tardi.

Partiamo prudenti e concentrati, lasciando Renzo Garlaschelli più alto di tutti. Scorrevano sotto in nostri occhi scambi lenti e spesso sbagliati, una partita equilibrata e brutta quel tanto che basta. Però si vedeva l’impegno, una foga agonistica seppur sterile dei nostri mentre gli interisti opponevano una manovra più fluida, favorita dai varchi più spaziosi che sapevano ritagliarsi Anastasi e Muraro. Siamo intorno al primo quarto d’ora quando Claudio Paperella Garella si oppone a una saetta di Scanziani al 16' e al 38' respingeva un’incornata di Anastasi da non più di due metri di distanza. Ci scuotiamo, ci facciamo coraggio e un urlo ci si strozza in gola quando Clerici (ritratto nella bella foto del Centro Studi Nove Gennaio Millenovecento in compagnia di Giordano) colpisce il palo. All’intervallo quasi nessuno lascia la propria postazione. In pochi vanno alla ricerca di riparo sotto le tribune, ma i sottopassaggi non sono attrezzati con bar e bevande calde come ai giorni d’oggi. I "bibitari" per mille lire ti vendono il caffè Borghetti che dovrebbe riscaldare e dare energia ma scopriamo di essere ancora troppo piccoli per poter fruire un prodotto destinato agli adulti.

La pioggia è veramente insopportabile ma ormai siamo rassegnati e dalla Curva soffiamo sul collo dei nostri giocatori. Abbiamo ingaggiato una personalissima sfida con entrambi i due avversari di quel pomeriggio: l’Inter e il maltempo.

Sono trascorsi cento secondi della ripresa quando Bordon deve volare come un angelo per deviare la palla sulla traversa, in seguito ad un colpo di testa di Giordano. Brunetto è spazientito, deve giocare da seconda punta e fare da collante tra centrocampo e attacco. Incredibilmente riusciamo ad occupare la metà campo avversaria per quasi un quarto d'ora. I nostri sbucano da tutte le parti, l’anziano Facchetti è quasi sempre superato e solo grazie agli strepitosi interventi di Bordon, l’Inter non va sotto di due gol. A sei minuti dalla fine, un giallo: un errato fuorigioco di Garlaschelli viene fischiato da Gonella, rischiando di far crollare i nervi (e le speranze) dei nostri che dopo tanta fatica stavano vedendosi sfuggire i due preziosi punti. Si attacca incessantemente verso la curva Sud, assistiamo ad una sequela di corner dove si fa fatica a non scivolare sul tartan mentre si prende la rincorsa. Si arriva all’87° e si stanno per accendere le luci: ennesimo angolo battuto da Boccolini, a Bordon sfugge la palla che va a finire sui piedi di Giordano; Brunetto tira d’istinto e Facchetti salva sulla linea; riprende Garlaschelli, altro tiro e altra parata di Scanziani con il petto, probabilmente all’interno della porta. A questo punto irrompe l’anziano Gringo Clerici e finalmente quel pallone che sembrava stregato, che aveva saltellato in un sabba di svariati secondi davanti alla porta interista, andava a depositarsi in rete. In curva accadde di tutto, ci tornavano in mente altre vittorie, sempre con una squadra milanese, sempre all’ultimo slancio e sempre con l’ombrello in mano. Ma era una Lazio diversa, già nuovamente "Lazietta" e discontinua, che ci avrebbe fatto dannare per un altro paio danni prima di spengersi definitivamente nel tracollo del calcio-scommesse.

Tornammo a casa zuppi ma felici, in tempo per sorbirci il rimprovero dei genitori per la troppa acqua presa ma soprattutto per assistere al secondo tempo della partita sul primo canale Rai, Lazio-Inter, con l’imperdibile telecronaca di Nando Martellini.

Sappiamo che molti non andranno allo stadio. C’è crisi, c’è un caro biglietti francamente inopportuno, ed il ricordo di oggi ci sembra talmente alieno dall’attualità che ci sembra di descrivere diverse ere geologiche. E invece sono sempre loro, Lazio e Inter, una partita infinita che spesso ha rappresentato una giornata particolare per entrambe le tifoserie. Ci è giunta notizia che anche uno storico (e immotivato) gemellaggio sia venuto meno. Per noi della vecchia guardia, cresciuti con la Lazio del Sor Umberto e di Tommaso Maestrelli, un ritorno alle origini, perché il tifoso laziale sa di poter contare solo su sé stesso. Forza Lazio!

Ugo Pericoli (si ringrazia per la foto il Centro Studi Nove Gennaio Millenovecento)