“Sei bella come un gol al 90°” (anonimo) Cari fratelli laziali, non saremo certo noi a dirvi di stare sereni, ché la striscia è positiva e che abbiamo guadagnato due punti sull’Inter; o che la Juve stessa è parsa “perforabile” - anche a domicilio - da un Parma ordinato sì, ma assolutamente inesperto a certi livelli. Non vi diremo che possiamo contare su un Ciro versione Batman, perché conosciamo bene quel che ronza nella testa del tifoso laziale nelle 100 ore che precedono un derby. E allora, non senza sollievo, questa volta ci tuffiamo velocemente nel ricordo di un derby di fine anni ’70 che – come vedremo, non sarà un semplice Roma Lazio, ma costituirà – nel bene e nel male – uno spartiacque generazionale per molti tifosi della squadra con l’aquila sul petto. È domenica 18 marzo 1979, sono le 14:30. Sotto un cielo pigramente invernale, fatto di nuvole basse e terrose pozzanghere che allagano i già malconci mosaici del Foro Italico, la Roma ospita la Lazio in un Olimpico gremito di 75.000 spettatori. Dirvi che c’è tensione equivale a riportarvi una banalità. Sarà meglio raccontarvi del come le due squadre vi arrivarono, a quella che fu la XXII giornata del campionato di Serie A 1978-79. Cominciamo dai padroni di casa. La Roma ha dominato la scena fin dal calcio-mercato di luglio. Archiviato in fretta il mondiale di Argentina 78, la mossa spettacolare del presidente romanista Gaetano Anzalone ha sovvertito molte gerarchie. C’è aria da red carpet la mattina del 29 luglio a Via del Circo Massimo! Nonostante siano solo le dieci, moltissimi giornalisti e fotografi cercano di farsi largo tra le turbe, giunte in massa ad omaggiare dirigenti, giocatori e vedettes. Una Lilli Carati suadente e abbronzata affascina gli astanti vestendosi “solo” con la nuova maglia della asroma e del suo arancione un po’ improbabile, per quella che sarà una delle prime operazioni di marketing del football italiano. Se a livello di immagine il risultato è stato più che eccellente, la società ha operato assai bene anche in fase di campagna acquisti. Luciano Spinosi e soprattutto Roberto Pruzzo, hanno sospinto i tifosi a volare sulle ali di un entusiasmo che appare incontenibile. E noi? Che ne era della Lazio, che in quella sessione estiva rispose alla grandeur giallorossa con il ritorno di Viola, con gli acquisti del portiere Cacciatori e della sua riserva Fantini, di Cantarutti e di Nicoli? Qualche ora più tardi a via Col di Lana, nell’accaldato pomeriggio del quartiere Delle Vittorie, lo scaramantico Umberto Lenzini ordinò due caffè freddi giù da Vanni: uno per lui, un altro per Lovati. – “Bob, dimmi, come rispondiamo alla Roma?”, chiese il presidente della Lazio a chi della Lazio era l’incarnazione stessa da vent’anni – “Presidente, siamo già forti così: abbiamo cambiato portiere, abbiamo 6/7 giocatori di livello internazionale, vedrai Presidente, lotteremo per un posto UEFA! – E certo, perché nella Lazio (ritratta nel ritiro estivo prima del via di quella stagione...) non cambiava nulla, non sarebbe mai cambiato nulla, perché l’armonia irradiata da personaggi come “il Sor” Umberto Lenzini, Tommaso Maestrelli, Bob Lovati e il dottor Renato Ziaco, costituiva un’alchimia che avrebbe fatto da paracadute contro qualsiasi sgambetto della sorte. Il campionato cominciò benino per noi, mentre i giallorossi iniziarono a perdere qualche punto di troppo, balbettando e scivolando malamente fino all’inevitabile cambio di allenatore in piena corsa, facendo prender coscienza ai sussiegosi cronisti e agli strafottenti supporters romanisti, che le nebbie e le fanghiglie pesanti dei campi d’inverno, erano ben diverse da quelle baciate dal sole illusorio dell’estate pruzziana. Ecco come si arrivò a quel derby: con una Lazio un po’ formica, sicuramente non del tutto consapevole delle proprie forze e debolezze, ma proiettata verso la rincorsa per un posto UEFA (che – va detto – a quel tempo aveva quasi lo stesso prestigio della Champions League) ed una Roma molto “cicala”, intirizzita dal freddo di un inverno affrontato con un equipaggiamento inadatto e molto sopravvalutato. I tifosi della Lazio, la settimana prima del derby, avevano cullato un sogno proibito: quello di poter vedere la asroma, vessatrice e smargiassa, retrocedere in Serie B. A questo sogno venne data voce attraverso uno striscione che campeggiava dal tabellone della Curva Nord: "Ve mannamo in B", riportava a cubitali caratteri l’iscrizione, verniciata col fresco del romanesco di tutti i giorni. Quella che fu la prima coreografia del calcio moderno, non potevano che realizzarla i tifosi della Lazio. Sì, quella scritta che occhieggiava beffarda dalla cima della Nord e che colorò – un po’ pacchianamente - lo skyline della Farnesina, dai marmi dello stadio al monolite bianco del Ministero degli Esteri, fino al verde dei pini del costone basso di Monte Mario, non poteva non essere notata dai ventidue che scesero in campo. La Roma si presenta con Paolo Conti, Maggiora, Rocca, Boni, Peccenini, Spinosi, De Nadai, Di Bartolomei, Pruzzo, De Sisti e Ugolotti. Dicevamo che la Roma aveva cambiato allenatore in autunno. Vista la crisi di risultati, Gustavo Giagnoni è stato esonerato ed al suo posto è giunto in soccorso l’ex c.t azzurro Ferruccio Valcareggi, con il compito di rimettere presto in corsa la squadra di via del Circo Massimo. Il sorriso, appena impercettibile, prodotto dalla coreografia laziale sul volto di Bob Lovati, non ne scompone più di tanto il fascino discreto, mentre si accomoda in panchina lasciando scivolare sulla giacca il suo elegante trench crema. L’arbitro Gino Menicucci di Firenze conta uno ad uno anche i nostri: Cacciatori, Tassotti, Martini, Wilson, Manfredonia, Cordova, Cantarutti, Viola, Giordano, Nicoli e D'Amico. Il Derby inizia con i giallorossi avanti a testa bassa e noi colti di sorpresa: ci sistemiamo in difesa per limitare i danni, puntando sul contropiede veloce di Giordano. Nei primi minuti gioca solo la Roma, con la foga (e l’affanno) tipica di chi vede il baratro proprio dietro l’angolo. Al 17' i romanisti raccolgono il frutto di questo impeto: Martini atterra Di Bartolomei sulla destra, giusto una trentina di metri dalla porta. Il povero Agostino si rialza e al fischio di Menicucci scaglia una delle sue tipiche sassate, che carambola sul polpaccio esterno di Cordova: deviazione e Cacciatori spiazzato: 1 a 0 per la Roma. Sulle ali dell'entusiasmo i giallorossi aumentano la pressione. Fu a quel punto che Bob si alzò dalla panchina, ma le indicazioni alla sua Lazio, irriconoscibile e abulica, erano rese incomprensibili dall’ordalico tripudio romanista. Dall’altra parte, in un silenzio orrendo, i tifosi biancazzurri si guardarono allibiti, temendo la goleada dei rivali, tanto che qualcuno provò ad ammainare lo striscione che continuava a campeggiare sulla curva, risuonando vagamente come un contrappasso beffardo. Ma al 30' all'improvviso ci svegliamo: su una punizione dalla sinistra battuta da D'Amico, Wilson effettua un’energica girata al volo, con palla che impatta sulla traversa. La Sud rallenta i suoi cori, ma quattro minuti più tardi è Kawasaki Rocca ad impegnare severamente Cacciatori. Brunetto nostro è troppo solo lì davanti! Solo Viola sembra in grado di leggerne gli intenti, mentre dall'altra parte Ugolotti svirgola malamente un nuovo suggerimento di Di Bartolomei. Alla mezz’ora Giordano, su passaggio di D'Amico, tenta una giocata alla Cruyff: varia prima da sinistra, poi rapidamente si accentra, ma vede l'area intasata di difensori romanisti e allora lascia partire un diagonale violentissimo che si stampa sul palo, lasciando ammutoliti sia Paolo Conti che la Sud. Poi la palla ballonzola dalle parti di Cordova, che sbaglia clamorosamente la rete del pareggio, fra la rabbia di tutti gli innamorati della Lazio e il sospiro di sollievo dei giallorossi. Il primo tempo finiva qui. Apriamo una parentesi: Cordova. Come raccontare alle nuove generazioni cosa aveva significato il passaggio di Ciccio Cordova, dalla Roma alla Lazio, due estati prima? In due parole: immaginatevi Totti che passa alla Lazio e che si “mangia” il gol del pari nel derby di ritorno. Chiusa parentesi. La ripresa inizia con un missile di Boni che Cacciatori devia in angolo. Replica la Lazio con Giordano che ruba palla ad Ugolotti e tira di poco a lato. Ancora la Roma, in avanti, al 57' con Rocca che passa a De Nadai, il cui tiro ravvicinato è deviato da Cacciatori in tuffo plastico. Un minuto dopo arriva il pareggio biancazzurro. Un Vincenzino D'Amico versione “sottiletta” salta agevolmente due avversari e porge la palla a Viola, che scarta anch'egli due difensori e tira secco, convinto. Palla che impatta su Picchio De Sisti e s'insacca sotto una nord che esplode in un boato di sollievo. Anche se avevamo colpito due pali eravamo consapevoli che la Roma stava giovando meglio di noi. Poi il nulla, fino all'88'. Mentre sull’Olimpico scendevano le prime ombre della sera, il sornione e onnipresente Vincenzo D'Amico avanza ondeggiando per aprirsi un varco. Dopo qualche passo di salsa, finalmente decide per un tiro. Chi di voi ha mai fatto una partita con il vecchio flipper del bar sotto casa? Come dimenticare quelle traiettorie imprevedibili? Dal tiro rabbioso del “falso magro” D’Amico, nasce una palla che impatta su Peccenini e che poi si dirige, subdola, verso Nicoli. È un lungo, lunghissimo istante: Aldo Nicoli comprende che deve fare uno sforzo in più per raggiungere quel pallone, ne ha letto la traiettoria e sa che dovrà fare un avvitamento su sé stesso per poterlo sfruttare, per colpirlo in modo efficace. Quasi disteso a terra, nei pressi del dischetto del rigore, si coordina per una semi-rovesciata e realizza indisturbato, giacché i difensori romanisti hanno concentrato le loro attenzioni su Giordano, temendone l’imprevedibilità tecnico-tattica: 1 a 2! La Nord esplose come una santabarbara, eravamo in estasi, increduli. I romanisti delusi iniziarono ordinatamente ad uscire e solo qualcuno fra loro non trovò nulla di meglio da fare che appiccare il fuoco alle panchine di legno, uguali a quelle dei vecchi giardinetti sparsi per Roma. Un modo molto incivile e un po’ piromane per stemperare la rabbia, mentre il coro “E nun ce vonno sta’, e nun ce vonno sta’“- venne intonato incessantemente per oltre tre minuti da tutti gli Eagles Supporters. Ma la partita non era ancora finita: Bob richiamò D'Amico per far entrare Ammoniaci e guadagnare anche una manciata di secondi. Ne sortì una mischia da cui derivò la più veloce espulsione di tutti i tempi. Due secondi di cronometro: il serafico Ammoniaci battibeccò col baffo mammone del buon Loris Boni e venne espulso. Probabilmente, il cartellino rosso più veloce della storia! All'ultimo assalto, a tempo abbondantemente scaduto, la Roma reclamò un rigore: presunto fallo in area di Cordova su cross di De Sisti, sul quale Menicucci sorvolò fischiando la fine. Cosa potevamo desiderare di più? I nostri giocatori si avvicinarono sotto la Nord e scorgemmo il sorriso timido del debuttante Aldo Nicoli strapazzato da Giordano, il “giovane” veterano di tantissimi derby. Tornammo a casa di corsa e accendemmo 90° Minuto! Eravamo a ridosso della zona UEFA con la Roma risucchiata nella bagarre salvezza. In viale delle Milizie, non lontano dalla sede storica dei vecchi Eagles Supporters, nei giorni successivi una mano anonima tracciò con lo spray una scritta nera: grazie Nicoli. Se avessimo saputo che sarebbe trascorso un intero decennio per tornare “a uscir e riveder le stelle”, tornando a vincere un derby, con in mezzo molte illusioni e tanti disastri, ci saremmo certamente disperati: e invece festeggiammo a lungo quel “gol al 90°”, nei bar, al lavoro, con i compagni di scuola, e quando – successivamente, negli anni bui “dei meno 9” passavamo per Viale delle Milizie, il nostro sguardo correva alla ricerca di quella vecchia scritta, che andò via via sbiadendosi, fino a scomparire del tutto, come il tempo che passa, che tutto rimuove, fuorché il ricordo. Sono passati più di quarant’anni. Abbiamo vinto altri derby, anche al 90°, come quello del contropiede inatteso di Guerino Gottardi. Che dire? È il modo più “appagante” di vincere la stracittadina! Oggi verrebbe facile la battuta, perché le statistiche indicano la Lazio come la squadra più letale della Serie A negli ultimi sette minuti. Noi, pur inclini alle suggestioni ed ai sentimenti, predichiamo prudenza e invitiamo ad un sano pragmatismo. La Roma farà il possibile e l’impossibile per metterci in difficoltà. Noi non dobbiamo pensare ai record, che sono destinati – ineluttabilmente – a venir superati. Dobbiamo preoccuparci di arrivare fino in fondo alla ricerca di un qualcosa di importante. Perché i record passano, i successi restano. Forza Lazio! Ugo Pericoli