Cari fratelli Laziali, il ventitré luglio è una data che non dimenticheremo presto. Abbiamo preso sonno molto tardi perché l adrenalina accumulata durante il primo tempo e nellintervallo di Lazio Cagliari ha avuto un rilascio lento che ci ha provato di un po' di riposo. Diciamocela tutta alle ventidue e trenta eravamo storditi, attoniti nel guardare una classifica dove la Roma, che adesso, a mente fredda, è davvero ad anni luce, sembrava ci stesse agganciando. Ricordate come ci eravamo lasciati la volta scorsa? "Quanto ci piacerebbe un altro due a uno sul Cagliari, magari con un gol di Ciro"? Una volta tanto siamo stati profeti in patria, con il Cagliari in vantaggio per primo, poi il pareggio con lo splendido gol del Sergente, fino all'irresistibile discesa di Luis Alberto per il diagonale di Immobile, il suo gol "tana libera tutti" che ci ha tenuto in piedi fino a notte fonda. A meno di congiunzioni astrali con percentuali realizzative prossime a quelle di un sei al Superenalotto, possiamo dire che siamo tornati nell Europa che conta e che, soprattutto, abbiamo la possibilità di aprire un nuovo ciclo. Abbiamo un gruppo coeso, affiatato che, al termine del match con il Cagliari, si è recato sotto la "curva invisibile" per abbracciare la "gente invisibile". Se volessimo sintetizzare con una istantanea l'aria che si respira in casa Lazio, sceglieremmo questa. Ciro Immobile, "confuso e felice", stanco dopo la sua "lunga e faticosa corsa". È dai suoi occhi lucidi, a fine gara, che dobbiamo ripartire, dalla sua modestia, dalla giusta considerazione per se' stesso, per i compagni ma soprattutto per la "sua gente", come l'ha definita, con un candore che ne fa un corpo estraneo al tritacarne del calcio moderno. Per noi Ciro è il piccolo Davide che combatte (e forse vincerà) contro l'arroganza del CR7-Golia nella lotta per la classifica cannonieri. Tornando al Campionato, stando ai numeri, tutto può ancora succedere. Siamo consapevoli che arrivare primi equivarrebbe al famoso "sei" del Superenalotto ma volete mettere il gusto, immaginate il divertimento in città? E perciò, adesso che ci siamo rilassati con tre giornate di anticipo, qualsiasi risultato a Verona potrebbe andarci bene. Per l'amarcord di oggi abbiamo scelto un Verona-Lazio particolare perché racconta una delle nostre "fasi di ripartenza". Cinquanta anni fa esatti una Lazio sospesa tra l'antico presente, fatto dai Ghio, dai Mazzola, Papadopulo, Governato, Marchesi e Massa e il nuovo futuro, Wilson e Chinaglia, dalle grandi speranze ancora tutte da sgrezzare. Alla guida c'era Juan Carlos Lorenzo, il tecnico con nome da sovrano ma dalle maniere assai poco regali. È il dominus incontrastato di tutte le Lazio viventi in quel momento. È il cinque maggio 1970: andiamo a Verona per la ventisettesima giornata del Campionato di Serie A 1969-70. Siamo tornati in Serie A solo da dieci mesi e stiamo ben figurando. La Fiorentina e' Campione d'Italia e sta per passare lo scettro al Cagliari, al termine di un biennio quantomeno inconsueto per le gerarchie consolidate nella nostra Serie A. L'allenatore scaligero e' una vecchia volpe del calcio emiliano, Renato Lucchini, esperto in salvezze per squadre pericolanti. Ed eccolo, il Verona di cinquanta primavere fa: Pizzaballa Sirena Stenti Ferrari Batistoni Mascetti D'Amato Madde' Clerici Orazi e Bui. Lorenzo non ha nessun dubbio, lascia in panchina il riccioluto connazionale Morrone e schiera questo undici: Di Vincenzo Papadopulo Wilson Governato Polentes Marchesi Massa Ferruccio Mazzola Chinaglia Ghio è Fortunato. Arbitro dell'incontro uno tra i più grandi fischietti italiani, l'internazionale Alberto Michelotti della Sezione Aia di Parma. La sua età una storia che merita di essere conosciuta. Senza padre dalla nascita, la madre è una venditrice ambulante. Il giovane Alberto è una staffetta partigiana. Una mattina viene fermato a Parma dai fascisti e portato nella famigerata caserma del Petitor, in un palazzo d angolo nei pressi di via Bixio. La madre Elsa è una donna combattiva. Leggenda vuole che si presenti in caserma e sputi in faccia al terribile reggente facendosi riconsegnare il figlio. Una storia rimasta sconosciuta per tanto tempo e che può darci la misura della tempra di alcuni personaggi di un tempo non troppo lontano. Comunque, sono le quindici e trenta quando il signor Michelotti fischia il calcio d'inizio. Alle tre e trentuno il Verona era già in vantaggio. Gol di Sergio Clerici, in tuffo di testa, vanamente ostacolato da Di Vincenzo. Il nostro portiere sfoggia un completo "ragno nero" stile Lev Jashin mentre i compagni vestono le bellissime maglie bianche, con risvolti azzurro scuro, marcate Umbro, acquistate in Inghilterra, di tasca propria, dal generoso Giorgione Chinaglia come dono a tutta la squadra. Si gioca in un Bentegodi pieno come un uovo. Il Verona è nella massima serie già da qualche tempo, gioca bene, in attacco ha Sergio Clerici, un brasiliano di San Paolo soprannominerò "El gringo" per via della sua provenienza sudamericana. Passano i minuti ma non riusciamo a riequilibrare l'esito della partita. Occorre arrivare al minuto quarantaquattro quando il vero "gringo" segna il gol del pareggio. Lungo lancio di Governato verso il centro dell'area sul quale si avventano in tre: Chinaglia, Stenti e Pizzaballa. Quest'ultimo riesce solo a schiaffeggiare la palla che assume una strana traiettoria, volteggiando per alcuni tratti a due metri dalla porta. Dalle retrovie, così, spuntano i baffi di Luigi Polentes, ritratto nella foto, con la maglia numero cinque, seppure in una gara giocata a San Siro, in uno dei tackles che lo hanno reso famoso. Preciso colpo di testa, palla nel sacco e gol dell'uno a uno. Avete presente i cowboys dei saloon del vecchio West? Luigi Polemtes incarnava il prototipo del calciatore Anni Settanta. Un magro con due baffi da duro che quando lo guardavi ti sembrava di sentire la musica di Ennio Morricone in uno dei celebri filma di Sergio Leone. Non vogliamo dilungarci sul secondo tempo. Il risultato non cambierà più nella ripresa, la gara terminerà uno a uno. Tornammo così da Verona con il punto che avevamo messo in cantiere. Analogie e paralleli tra quella Lazio e questa di oggi? Tantissimi. A cominciare dall'anno "rotondo", 1970-2020, oggi come ieri una Lazio di mezzo, a metà strada tra sogno e vigilia. Quella lontana Lazio del Presidente Lenzini ha molte similitudini con questa targata Lotito. Quella attendeva un... Maestro, questa il suo Maestrelli sembra avercelo già perché Simone Inzaghi è un fine stratega e un sapiente psicologo. Oggi, come cinquant'anni fa, la Lazio si sta potenziando per arrivare al gradino più alto nel più breve tempo possibile. Stavolta ce ne resteremo alla finestra a guardare. Dopotutto la cosa peggiore che può capitarci è di arrivare quarti. Tre scontri diretti e incroci fatali, quanto ci scommettete che non è ancora detta l'ultima parola? Forza Lazio Ugo Pericoli