Cari fratelli Laziali, ebbri di felicità per quello che è stato – calcisticamente parlando – il più bel Natale della nostra vita, siamo disposti a tollerare perfino l’orario del lunch-match della prossima partita purché questa astinenza abbia fine. Diciamoci la verità, le vacanze sono una cosa bellissima, così come il tempo libero, finalmente trascorso nella serenità della famiglia. Però la Lazio ci è mancata come non mai, perché l’esaltazione creatasi dopo la lunga serie di vittorie ha fatto innalzare al massimo livello la “voglia di Lazio”, generando sogni e speranze che fanno ritornare in mente i due trienni dorati, il 1972-73-74 e 1998-99-2000. Non è solo per il numero di vittorie in successione, quanto per la modalità in cui queste sono giunte. A Cagliari abbiamo vinto in un modo che “non appartiene” alla nostra storia, a Riyad abbiamo replicato la vittoria sulla Juve conseguita a Roma il 7 dicembre. Battere per due volte - nel giro di mezzo mese - i Campioni d’Italia, non può essere stata una semplice coincidenza perfino per chi, come noi, non è un tecnico. Alcuni macro dati statistici sono favorevolmente impressionanti, altri sono già dei (piccoli) record. Ora più che mai, seguiremo il volo dell’Aquila guardandoci alle spalle, e a destra, e poi a sinistra, pur avendo ben inquadrata, non troppo lontana, ma ancora davanti a noi, la nostra ultima meta. Torniamo dunque al quel che ci compete, al ricordo che anticipa la prossima partita. Torniamo indietro di un quarto di secolo, al 22 gennaio 1995. È la XVII giornata del Campionato di Serie A 1994-95, l’Aquila se la dovrà vedere con la Leonessa. “Leonessa” è il soprannome del Brescia, che scende in campo con questa formazione: Ballotta, Adani, Giunta, Corini, Francini, Battistini, Sabau, Gallo, Neri, Lupu e Bonetti. Ad allenarla è Mircea Lucescu, cittadino di Bucarest ma anche del Mondo, uno che ha coraggio da vendere: mentre tanti suoi colleghi, temendo di perdere la propria rendita di posizione, ancora si prostrano al declinante potere dell’URSS e dell’Armata Rossa targata Lobanovs'kyj, Lucescu si assume i rischi del “nuovo”, intercettando prima degli altri la corrente del cambiamento e dello slittamento a Ovest dell’Europa post-comunista. Lucescu è mosso prima di tutto da una straordinaria volontà di autoaffermazione: siamo all’alba degli anni ’90, il muro di Berlino si è appena sgretolato, anche il calcio risente di questa ventata di cambiamenti, spesso radicali e talvolta perfino eterodossi, come nel caso del nostro Arrigo Sacchi. Anche in casa Lazio si respira un vento che viene da Est: Zdeněk Zeman ha portato con sé le speranze e i sogni maturati sotto la neve dei grigi inverni comunisti e ora fa giocare le sue squadre con una disinvolta allegria “di una primavera che non venne mai”. A Brescia a gennaio fa alquanto freddino! Sono le 14 e 30 in punto e il nostro undici saltella a centrocampo in cerca di calore: Marchegiani, Negro, Chamot, Di Matteo, Bergodi, Cravero, Rambaudi, Fuser, Boksic, Winter e Signori. Dobbiamo raccontarvi di una Lazio che faticò non poco. I bresciani chiusero tutti gli spazi per quasi tutta la partita. Per i primi venti minuti spingemmo tantissimo ma poi per il resto dell’incontro giocammo imballati, lo spettacolo ne risentì tantissimo, al punto che ci viene difficile riportarvi la cronaca di una partita che non ci esaltò nemmeno allora. Dopo il nostro iniziale dominio il Brescia ritrovò un suo equilibrio, e Francini prima e Battistini poi - costrinsero Marchegiani a due difficili interventi. Ad un certo punto si fa male Cravero in un banale scontro di gioco: siamo intorno al 25’. Esce per farsi medicare e resta a bordo campo per oltre un minuto. Rientra al 27’, probabilmente senza rispettare la canonica procedura che prevedere l’autorizzazione dell’arbitro. Caso vuole che, poco prima che possa farsi notare dal signor Boggi di Salerno, notificando il proprio rientro in campo, Cravero si ritrovi tra i piedi un pallone vagante. Caso nel caso, succede che s’inventi un lancio di oltre 40 metri – una roba alla Pirlo, tanto per darvi l’idea – un passaggio millimetrico che si trasforma in un’arma letale per un killer del contropiede come Alen Bokšić. L’Alieno prima si trascina gli impotenti difensori bresciani poi entra in area di rigore e piega le mani a Ballotta con un potente tiro: è l’1-0. Nella ripresa il Brescia prova a recuperare la partita, alza il baricentro e ci fa tribolare parecchio. Lupu, Bonetti, Corini, Giunta e Sabau spingono tantissimo. Marchegiani farà il Marchegiani, sfoderando tre interventi decisivi che salvano il risultato. Il primo sulla rovesciata di Giunta, il secondo sul tiro al volo di Battistini e il terzo sul colpo di testa di Bonetti. Quel pomeriggio i nostri contropiedisti sono assopiti, Rambaudi è poco lucido e lo stesso Boksic appare appannato, quando si divora una ghiotta occasione angolando troppo il tiro. Cosa resta di quel pomeriggio? I tre punti e un’invitante posizione in classifica. Episodio del gol a parte, gli oltre 20 punti che in classifica che separavano il Brescia dalla Lazio non si notarono più di tanto. E i 10.000 infreddoliti spettatori del Rigamonti videro la propria squadra soccombere, ma solo di misura, alla Lazio che sarebbe arrivata seconda in campionato e con il migliore attacco della Serie A. Corsi, ricorsi e tante analogie! Mentre ci state leggendo manca una settimana al 120° compleanno della nostra amata Lazio! Sappiamo che, in questo momento, i Laziali sono in uno stato di piacevole inquietudine e si dividono in due macro-categorie: quella dei razionali/ponderati: l’obiettivo è la qualificazione Champions, basta arrivare quarti, il campionato è lungo e ricco di insidiosi tranelli. E quella dei romantici/ardimentosi: dobbiamo arrivare il più lontano possibile, stiamo giocando troppo bene e possiamo vincerle tutte da qui a maggio! Ad entrambe le categorie di fratelli Laziali, noi rivolgiamo i più fervidi auguri per un 2020 ricco di salute, di prosperità e di successi nel segno della comunanza che ci lega alle sorti della squadra con l’Aquila sul petto! Tanti auguri, forza Lazio! Ugo Pericoli