“Colpo partita: triplo filotto reale ritornato con pallino.”
Paolo Villaggio - Rag. Ugo Fantozzi
Cari fratelli Laziali,
sappiamo che c’è ancora qualcuno tra voi che non ha smaltito la prestazione offerta dai nostri nel derby di qualche giorno fa. Ammettiamolo, la paura è stata tanta perché la questione si sta facendo seria. I nostri avversari hanno giocato la partita della vita ed è quel che dobbiamo aspettarci – d’ora in avanti – da qualsiasi futuro avversario.
Bene! Vuol dire che siamo riconosciuti come la terza forza del campionato e che i nostri avversari mostrano segni di nervosismo. Il problema è più loro che nostro. Ci siamo scrollati di dosso il fardello del record a tutti i costi (le vittorie consecutive) ed abbiamo scelto il modo migliore per farlo, guadagnando un punto sulla prima. Vietato sognare ad occhi aperti ma irragionevole chiuderli, di fronte ad una classifica che ci vede a due punti dalla seconda ma con una partita (in casa) da recuperare.
Scommettiamo che quando avrete terminato di leggere questo racconto, il ghigno feroce di Cengiz Ünder vi sembrerà piacevole come una sorsata d’acqua fresca d’estate?
È il 5 aprile del 1981, è la 28a giornata del Campionato di Serie B 1980/81: è l’anno del post calcio scommesse, con Giordano e Manfredonia squalificati sine die. Con la Lazio di Tommaso Maestrelli completamente azzerata: Wilson è stato radiato mentre D’Amico “ha dovuto” salutare, salire su un’auto fino a Torino per vestire un granata che gli ha sempre sbattuto. Non c’è più nemmeno nonno Umberto che ha passato la mano a suo fratello Aldo.
Come ci sentivamo? A luglio ci consegnarono una squadra del tutto nuova e un allenator che non portava pena: Ilario Castagner. All’epoca del calcio autarchico degli anni ’70, Castagner era divenuto l’emblema di un miracolo di provincia: il suo Perugia aveva terminato il campionato imbattuto, piazzandosi al secondo posto dietro la solita Juventus. Nessuna sconfitta, che record! Prendete nota di questo record e continuate a leggere, per scoprire a cosa servono i record.
Quel pomeriggio le nostre maglie hanno lo sponsor dei grissini e sono indossate da: Marigo, Mastropasqua, Citterio, Perrone, Pighin, Simoni, Sanguin, Bigon, Chiodi, Viola e Greco. La Spal risponde con Renzi, Cavasin, Ferrari, Ogliari, Albiero, Brilli, Bergossi, Castronaro, Grop, Rampanti e Tagliaferri.
Allo stadio sono presenti 30.000 spettatori che soffiano sulla vela di una barca che sta faticosamente cercando di approdare sulle sponde della serie A. Partiamo lentamente: da qualche settimana abbiamo perso lo smalto delle prime giornate, nelle quali il ritorno in serie A sembrava una mera formalità burocratica. Ma i terreni pesanti, le tifoserie infuocate della provincia e qualche sfortunato infortunio di troppo, hanno mandato in confusione i giocatori meno avvezzi a situazioni un po’ estreme. Ed anche quel pomeriggio siamo lenti e prevedibili. Per quaranta minuti si registra solo uno sterile predominio, con azioni manovrate soprattutto da Sanguin e da Citterio, che variano sulle fasce laterali per cercare di aggirare lo schieramento avversario. È una manovra fine a sé stessa, manca la collaborazione dei compagni sotto porta. Stefano Chiodi è solo l’ombra del bomber che aveva vinto lo scudetto due anni prima col Milan. A quattro minuti dall’intervallo, in seguito ad un passaggio troppo corto di Cavasin, il portiere Renzi atterra in area di rigore Greco, che si era lanciato prontamente sulla palla. Per Luigi Agnolin di Bassano del Grappa è tutto regolare. Renzi si infortunava (tanto che nella ripresa sarà sostituito da Gavioli) ma per noi niente rigore. Senza gli affondi del nostro centravanti, per segnare occorre un colpo a sorpresa. Quel giorno con noi giocava Alberto Bigon: 218 presenze e 56 gol con la maglia del Milan, uno scudetto, una Coppa Italia e una Coppa delle Coppe, è il top player di quella Lazio che provava a riprendere il volo. Siamo alla fine primo tempo: Simoni fuggiva sulla sinistra, effettuava un cross che Greco correggeva di testa sul palo, la sfera carambolava quasi sulla linea di porta, consentendo ad Albertino Bigon di centrare facilmente il bersaglio: 1 a 0.
Andiamo all’intervallo più sollevati, contenti per il vantaggio ma consapevoli di aver visto un’altra prestazione decisamente modesta. La Spal infatti non aveva sfigurato, sfruttando i larghi spazi lasciati dai nostri. L’undici di Rota si era anzi reso insidioso con precise triangolazioni, suggerite da Rampanti, Bergossi, Castronaro e Grop.
Secondo tempo: la Spal non ha neppure il tempo di riorganizzarsi che Citterio pesca alla perfezione Bigon, nuovamente lanciato in area. Controllo di petto e bolide imprendibile che si insacca a mezza altezza. Un gol molto bello, dal sapore illusorio della serie A. 2 a 0, siamo al 47’.
La partita si trascinò stancamente fino al termine. Facemmo finta di essere contenti mentre dal tabellone arrivavano notizie pessime, la Roma stava vincendo ad Udine e quella sera sarebbe stata in testa alla classifica.
Erano queste le nostre domeniche, in compagnia di una Lazio fragile come un grissino e una asroma pompatissima verso il trionfo.
Come chiudemmo la stagione? Stabilimmo due record. Miglior attacco e minor numero di sconfitte, solo 5. Record che non furono sufficienti per tornare in Serie A e che resero il rigore mancato da Stefano Chiodi -nella decisiva e funesta gara interna con il Lanerossi Vicenza- ancora più beffardo. Non vogliamo più sentir parlare di record, per favore.
Era una Lazio “da Chi l’ha visto?”, altro che le finte di Ünder domenica scorsa.
Il derby? L’abbiamo giocato male ma questa Lazio è talmente bella che non può essere sparita nel nulla.
Occorre ripartire subito, contro la squadra che rappresenta il nostro fantasma più recente, per via delle due inattese sconfitte consecutive. Mancherà Joaquín Correa. Quel che non dovranno mancare sono i tifosi allo stadio perché le prossime tre partite saranno tutte decisive. Dobbiamo sforzarci di non aver fretta, affrontare una partita alla volta e non pensare fin d’ora al triplo filotto reale ritornato con pallino.
Forza Lazio!
Ugo Pericoli