I tempi di definizione del procedimento pendente in Figc per l’assegnazione ex aequo dello Scudetto 1915 continuano a dilatarsi a dismisura senza una vera e propria motivazione, ma più le relative tempistiche si allungano più emergono fatti, circostanze e documenti che, indubbiamente, rafforzano oltremodo le tesi a supporto della rivendicazione Laziale (legalmente ineccepibile!) e confermano che il campionato 1914/15 fu profondamente segnato da indebite influenze dei poteri istituzionali dell’epoca.
Resoconta Pianeta Genoa 1893 (sito di riferimento della Fondazione Genoa), infatti, che nella stagione 1913/14 il club ligure venne processato a Vercelli per aver contravvenuto all’articolo 8 del Regolamento della Federazione contro il professionismo, rischiando la radiazione dai ranghi federali:
“Martedì 3 giugno Sardi e Santamaria si erano recati nei locali della Banca Cooperativa Genovese ed avevano presentato un assegno di tremila lire firmato Geo Davidson. Il cassiere, socio dell’Andrea Doria, capisce subito che si tratta della ricompensa per il passaggio dei due fortissimi giocatori doriani nelle fila rossoblu. La foto dell’assegno va a finire alla Federazione, facendo scoppiare lo scandalo, che porterà il Genoa e i due giocatori sul banco degli imputati con Zaccaria Oberti (della Doria) come pubblico ministero ed Edoardo Pasteur come avvocato difensore, la cui arringa riuscirà a convincere la giuria (presidente Bozino della Pro Vercelli) e a salvare la Società. Sardi e Santamaria furono condannati a mille lire di ammenda ciascuno e a una squalifica di due anni, poi dimezzata”.
Un po’ come il Lupo, tuttavia, anche il Grifone perse il pelo ma non il vizio. Nel corso della stagione 1914/15, infatti, il Genoa fu accusato di un clamoroso episodio di corruzione che, laddove giudicato con la dovuta rigorosità, avrebbe completamente sovvertito le sorti di quel campionato, ma che, invece, fu processualmente “sminuito” dai poteri istituzionali dell’epoca e inopinatamente “celato” dalle successive cronache sportive e storiografiche.
A rivelarlo è ancora una volta il “Bollettino Ufficiale” della Figc (solo recentemente rinvenuto e reso pubblico), nell’edizione n° 3 del 15 Novembre 1914, laddove risulta per tabulas che la Commissione d’Inchiesta nominata dalla Federcalcio acclarò che il Genoa fu colpevole con l’aggravante della recidiva della corruzione del calciatore Angelo Mattea del Casale (all’uopo essendosi avvalso di propri soci, intermediari, denaro e altri mezzi), mentre la società nerostellata fu ritenuta responsabile di aver esercitato pressione morale verso il proprio tesserato e quest’ultimo di aver accettato la corruzione, sia pur con le attenuanti della confessione resa, dell’entità della somma e delle sue condizioni finanziarie.
Ciò nondimeno, come da Delibera sotto riportata e pubblicata sul medesimo “Bollettino Ufficiale”, il Consiglio Federale appositamente riunitosi, udite la relazione e le conclusioni della Commissione d’Inchiesta, decise di sanzionare il Genoa comminandogli “solamente” la squalifica del campo sino al 31 Dicembre 1914 ed una multa di Lire 3.000 (tremila), con la correlata e gradata squalifica dei tesserati rossoblu a vario titolo coinvolti nella vicenda corruttiva.
A quei tempi il Genoa disputava i propri match casalinghi presso il “Campo di Via del Piano” di Genova (Marassi), realizzato nel 1910 su iniziativa dell’allora Presidente Edoardo Pasteur e sito nella stessa area su cui nel 1933 sarà inaugurato l’attuale “Stadio Luigi Ferraris”.
Se la suddetta condotta corruttiva costò al Genoa una condanna assolutamente minimale, l’applicazione della sanzione subita si rivelò addirittura paradossale. Allorquando il “Campo di Via del Piano” fu squalificato fino al 31 Dicembre 1914, difatti, al club genovese restavano da disputare esclusivamente due match interni della prima fase ligure-piemontese: la partita in calendario il 29 Novembre 1914 contro l’Alessandria e il derby conclusivo in programma il 6 Dicembre 1914 contro la Liguria.
Come riportato direttamente dalle fonti storiche genoane, però, la società rossoblu poté incredibilmente disputare e vincere gli ultimi due match del proprio girone, dovendosi spostare nient’affatto in campo neutro, ma semplicemente traslocando dal “Campo di Via del Piano” allo “Stadium di Piazza Verdi”, anch’esso ubicato a Genova, avente comunque una capienza di 5.000 posti e distante appena qualche centinaio di metri… dal campo squalificato!
Fu certamente un ulteriore successo legale e diplomatico di Edoardo Pasteur, perché la “recidiva genoana” avrebbe potuto e forse dovuto comportare ben altre e più drastiche sanzioni sportive nei confronti del Genoa e perché di tale scandalo ben presto si persero le tracce, al punto che lo stesso non risulta assolutamente resocontato dalla storiografia calcistica nazionale.
Ma chi era e cosa rappresentò realmente Edoardo Pasteur per il calcio italiano dell’epoca? La domanda è d’obbligo, i chiarimenti “ut infra” esposti consentiranno ad ognuno di trarre autonomamente le proprie conclusioni.
Edoardo Giacomo Giuseppe Carlo Pasteur, questo il suo nome completo (Genova, 29 maggio 1877 – Genova, 19 settembre 1969), è stato uno tra i più importanti pionieri del calcio tricolore. Fu tra i fondatori della Federazione Italiana Football (progeniteice della Figc), co-organizzatore del primo campionato nazionale di calcio del 1898 e membro effettivo del Direttorio Federale fino al 1920 (nonché arbitro ufficiale nel periodo 1901-1916).
Nel Genoa fu uno dei primi soci e calciatore di livello, divenendone successivamente dirigente e presidente. Con i colori rossoblu praticò anche il canottaggio e la pallanuoto. Sul campo di calcio, nel ruolo di mezzo destro, conquistò con il Grifone sei titoli nazionali, rispettivamente nel 1898, 1899, 1900, 1902, 1903 e 1904. Nello stesso periodo riuscì ad imporsi anche come giornalista-giocatore, in qualità di corrispondente de “La Gazzetta dello Sport”. Appesi gli scarpini al chiodo, assunse la presidenza dei rossoblu dal 1904 al 1909 e dal 1910 al 1911, mentre nel 1946 ne fu Commissario durante il secondo dopoguerra.
Nella stagione 1914/15 fu vicepresidente del club ligure, sotto la presidenza di George Davidson (a sua volta presidente dal 1915 della Federazione Ciclistica Italiana, all’epoca la più importante tra quelle affiliate al Coni). Come riporta il “Bollettino Ufficiale”, inoltre, in quel periodo Edoardo Pasteur fu puranche membro della “Commissione Tecnica” della Figc, unitamente al presidente Tonino Scamoni, al segretario Melanio Laugeri ed ai consiglieri Franz Calì, Alfredo Armano, Hugo Rietmann e Nino Resegotti.
Secondo le fonti genoane egli restò nel mondo del football anche alla fine del primo conflitto bellico mondiale, in quanto dopo la “Grande Guerra” finì per aprirsi un negozio di articoli sportivi a Genova.
Ma la circostanza è temporalmente e tendenzialmente inveritiera, perché Edoardo Pasteur non solo risultava esercente tale attività già durante il campionato 1914/15, ma con tale azienda, in tale annata, fu anche fornitore ufficiale della Federcalcio e della Nazionale Italiana, nonché sponsor del “Bollettino Ufficiale” della Figc ove compariva a tutta pagina sin dal secondo numero pubblicato ad Ottobre 1914 e fino all’ultimo numero edito nell’Aprile 1915 (dal Dicembre 1914, peraltro, l’azienda occupava ed assorbiva interamente la seconda pagina, subito dopo la copertina, secondo l’impaginazione sotto riportata).
Il poliedrico Edoardo Pasteur, in più, dopo la Prima Guerra Mondiale non si ritirò per nulla dalle proprie attività dirigenziali ed istituzionali, perché nel 1921 in rappresentanza del Genoa guidò il movimento scissionista delle maggiori società calcistiche nazionali, che portò alla fondazione della Confederazione Calcistica Italiana della quale assunse la presidenza dal Dicembre 1921 fino al Giugno 1922 (periodo in cui maturò la riconciliazione con la Figc e le fonti genoane, fino a poco tempo fa, collocavano arbitrariamente l’attribuzione dello Scudetto 1915 al club ligure, circostanza che il Comitato Storico Laziale, com’è noto, è stato in grado di smentire per tabulas attraverso le risultanze emerse dall’Annuario Ufficiale del 1927).
Per ragioni di mero tuziorismo storico, infine, giova rammentare che a quei tempi il concetto e la fattispecie giuridica del “conflitto d’interessi” ancora non erano stati né debitamente elaborati né formalmente codificati. La prassi di “gestire” le fonti calcistiche, invece, quella sì, parrebbe proprio che all’epoca fosse già perfettamente collaudata…
(si ringraziano il portale Laziostory e l'Avv. Gian Luca Mignogna)