Cari fratelli Laziali,

pensiamo sinceramente che trascorreremo le rimanenti giornate di campionato alla ricerca di quel che succede negli altri campi. Soprattutto in quelli dove gioca la Roma. Abbiamo cominciato domenica sera: abbiamo seguito Candreva e soci fino al 90° e passa, e quando gli abbiamo visto eseguire malissimo un tiro che probabilmente non sarebbe riuscito neanche al miglior Maradona, lo abbiamo mandato a quel paese. Sarà per la prossima occasione... Per la lotta alla qualificazione alla prossima Europa League è indispensabile fare la corsa sulla asroma. Dobbiamo vincere le prossime due partite a cominciare da quella, maledettissima, dell’ora di pranzo. Tuffiamoci dunque nel nostro amarcord e torniamo indietro di quasi quarant’anni. Sembra ieri quando Giorgione era tornato per davvero, sublimando il sogno di Toni Malco che ne aveva profetizzato il ritorno in una canzone dal sapore nostalgico. Giorgio Chinaglia era tornato per fare il presidente e avevamo tutti il cuore ricolmo di belle speranze. D’accordo, a Verona avevamo rimediato una scoppola di quelle che stendono ma avevamo anche scoperto le doti balistiche di Michelino Laudrup, autore della prima doppietta straniera dopo quattro decenni di autarchia ortodossa. E la domenica successiva avevamo schiantato l’Inter per 3 a 0. Dunque, si andava a Marassi per una conferma: era domenica 25 settembre 1983, la terza giornata del Campionato Italiano di Serie A tanto a lungo inseguito.

Il Genoa è allenato dal grande Gigi Simoni: Martina, Romano, Testoni, Faccenda, Gentile, Corti, Benedetti, Peters, Antonelli, Eloi e Briaschi. A disposizione Simoni può contare su Favaro, Policano, Viola e Bergamaschi. Oltre al povero Nando Viola, c’è tanta Lazio accanto a Simoni: un giorno, in un futuro ipotetico, sotto una canicola impossibile da dimenticare, un calciatore dallo sguardo tranquillo sarebbe diventato il salvatore della Lazio. Per ora è soltanto la riserva dell’esotico brasiliano Eloi: si chiama Giuliano Fiorini, è un panchinaro qualsiasi che assiste alla partita da bordo campo seguendola con uno sguardo quasi distratto.  

Noi ci sentiamo nuovamente forti: Cacciatori, Miele, Vinazzani, Manfredonia, Batista, Spinozzi, Cupini, Marini, Giordano, Laudrup e Piraccini. A disposizione del Gaucho Morrone ci sono Ielpo, D'Amico, Vella, Piscedda e il baby Meluso.

Arbitra il salernitano D'Elia, è uno dei migliori, segno che questo Genoa Lazio è tornata ad essere partita di cartello. 

Sentiamo la partita su Teleroma 56 e ci sembra una giornata tranquilla. Solo al 13’ ci scuotiamo, perché Cacciatori è chiamato ad una parata molto difficile: botta di Benedetti su passaggio di Peters, Eloi ribatte al volo ma il tiro è altissimo; due minuti dopo Antonelli si auto lancia superando la nostra difesa e poi, con un passaggio tagliato per Briaschi – spera che questi gli chiuda il triangolo. Cacciatori si fa trovare pronto un’altra volta. Nel primo tempo non facciamo un tiro in porta e nemmeno uno straccio di contropiede. Nella ripresa ci chiudiamo in difesa e proprio il giocatore più celebrato, Joao Batista, si dimostra il meno efficiente. Le cose migliori verranno da un ragazzino di diciannove anni: Giancarlo Marini, classe ’64 come Michael Laudrup, si mostra sempre risoluto nell'interdizione ed in grado di parlare lo stesso verbo calcistico di Bruno Giordano, più e meglio di qualche giocatore più esperto, evidentemente solo sulla carta.

Noi faremo un solo tiro in porta: su un’azione impostata da Batista, il Falcao dei poveri supera il centrocampo e smista sulla destra a Laudrup, che scende lungo l’out. Un’occhiata al centro dell’area di rigore e preciso passaggio per Giordano. È un pallone a mezz’altezza quello che Bruno prova a mandare in rete con una semirovesciata volante. Buona la coordinazione, ma tiro lento facilmente agguantato da Silvano Martina. Sarà il nostro unico tiro in porta. Rischi zero e danni zero per uno 0 a 0 veramente squallido, un mesto presagio di quel che sarebbe stata la stagione per entrambe le squadre. Tuttavia, a sera, salutammo con favore questo punticino che aveva un che di prestigioso e profumava di buona classifica, una situazione che la primavera dell’anno prima sembrava irraggiungibile. Quando Morrone, ai microfoni della Domenica Sportiva, commentò che gli era sembrato di vedere una buonissima Lazio, noi annuimmo convinti e ci sembrò di scorgere negli occhi di Giorgio Chinaglia un barlume di placida serenità.    

Oggi non è tempo di romanticherie, questo calcio senza più cuore ci trasmette soltanto un senso di apatica indifferenza. I giocatori devono iniziare a vincere, per convincerci a tornare da loro. Dalla squadra e dalla Società, tutti i laziali si meritano molto di più. Forza Lazio!

Ugo Pericoli