Cari
fratelli Laziali,
abbiamo
cominciato l’anno nel migliore dei modi. La Coppa Italia è una
competizione importante e l’aver superato, vogliamo sottolinearlo - in modo
piuttosto agevole - la Roma nel Derby, ha rappresentato la classica ciliegina
sulla torta del compleanno. La
festa in Piazza della Libertà, tenutasi nella notte tra l’8 e il 9
gennaio, è proseguita fino alla tardissima serata di mercoledì. Ci avviciniamo
con maggior fiducia alla prossima sfida di Campionato, che anticiperà la
semifinale di Supercoppa italiana in quel di Riyad.
In vista
dell’imminente incontro con i Giallorossi del Salento, vi riportiamo ad
una vecchia sfida di 43 anni fa: era domenica 18 ottobre 1981, la VI giornata
del Campionato di Serie B 1981/82.
Avevamo
fallito il ritorno in Serie A. Era successo a maggio. In cinque mesi, le cose
sembrano siano cambiate in meglio. Soprattutto per il ritorno di Vincenzo
D’Amico, dopo un anno di esilio forzato nella Torino sponda Granata.
Ilario
Castagner ha una
Lazio piuttosto simile a quella della stagione precedente: Marigo, Spinozzi,
Chiarenza, Mastropasqua, Pighin, Badiani, Viola, Bigon, D'Amico, Ferretti e
Speggiorin. In panchina siedono il ventenne Fiorenzo Di Benedetto, poi De
Nadai, Sanguin, Manzoni e Marronaro.
Il Lecce è
allenato da un guru del calcio anni-Settanta: Gianni Di Marzio. Gli
hanno affidato un manipolo di giocatori semisconosciuti. A parte Claudio
Merlo, nessuno di loro ha mai messo piede in uno stadio come lo Stadio
Olimpico: De Luca, Gilberto Mancini, Lo Russo, Lorenzo Ferrante, Imborgia,
Progna, Cannito, Improta, Magistrelli, Merlo e Tacchi. A disposizione di Di
Marzio il portiere di riserva Vergallo, poi Biagetti, Mileti e Maragliulo.
Sulla panchina siede anche un certo Pasquale Bruno. Ha poco più di
diciott’anni, a Lecce si dicono certi diventerà un difensore coi fiocchi, uno
di quelli che non te le mandano a dire e picchiano come dei fabbri.
La Lazio
costituisce un richiamo per gli spettatori del torneo cadetto: l’AIA ha
designato l’espertissimo Paolo Casarin ad arbitrare la partita di
cartello. Casarin ripartirà dal basso: ha appena superato i sei mesi di
squalifica inflittigli per le sue esternazioni contro il sistema
arbitrale. Adesso è lì, sul dischetto del centrocampo, davanti a una Tribuna
Monte Mario semideserta.
Noi siamo
seduti in Curva Nord, in uno stadio che presenta larghi vuoti. Siamo in piena
ottobrata, non tutti hanno resistito alle sirene di una passeggiata in centro,
oppure al mare. La Serie B viene vissuta come una formalità, molti tifosi,
delusi per il comportamento dei loro ex idoli, seguono le vicende della Lazio
vivendole dalla lontana, con la radiolina nella giacca, con aria di
sufficienza, con triste distacco. Sono giorni agitati in casa Lazio. È in atto
un cambiamento epocale: travolto dallo scandalo del calcio-scommesse, è già trascorso
un anno da quando Umberto Lenzini ha ceduto la sua presidenza ai
fratelli Aldo e Angelo. Ed è trascorsa una settimana da quando,
esattamente dal 9 ottobre, Aldo e Angelo Lenzini hanno ceduto il pacchetto
azionario in loro possesso (53%) ad una finanziaria composta da Gian Casoni,
Filippo Galli e Mario Apuzzo.
Con l’addio
del Sor Umberto, paterno e dolce come un signore d’altri tempi, e
la successiva cessione delle quote dei fratelli, si è chiusa l’Era Lenzini,
un nome che ha significato tanto, per almeno due generazioni di Laziali.
Arriviamo a
questa sfida col vento in poppa. Abbiamo battuto Foggia e Brescia, l’incognita
maggiore è rappresentata da Gianni Di Marzio. Il tecnico dei leccesi vanta
una tradizione favorevole negli scontri contro le squadre allenate da Ilario
Castagner. Partiamo male, attacchiamo verso Curva Sud, sempre con lunghi
lanci, operati principalmente da D’Amico. Il Lecce si difende con molto
ordine, con fraseggi brevi e rasoterra, una ragnatela di passaggi che partono
dai piedi di Merlo e permangono con successo tra i piedi dei giocatori
giallorossi. Con irriducibile ottimismo, gli Eagles Supporters continuano
a intonare i loro cori, anche quando Improta, Magistrelli e Tacchi sembrano
poter superare Chiarenza, Pighin e Spinozzi. In attacco abbiamo molti problemi:
dalla primavera del 1980, con la squalifica di Giordano, il ruolo del
centravanti è stato coperto – seppure solo in pectore - da Vincenzo D’Amico.
Poi si è tentata la carta Stefano Chiodi. Quest’anno, la responsabilità
se l’è addossata Walter Speggiorin. Una scelta dettata da ragioni di
portafoglio, perché il buon Walter – a parte la stagione d’oro nel Perugia
dei miracoli - non è mai stato uno che segna a mitraglia. Nella prima
mezz’ora di gioco, Speggiorin non arriva a toccare il pallone.
Arriviamo al
29': c’è un cross di Chiarenza, ben calibrato per Bigon. Albertino
è ben piazzato ed incorna di testa, portandoci inaspettatamente in vantaggio.
Quasi non ci crediamo, abbiamo concretizzato l’unica occasione costruita in
trenta noiosissimi minuti.
Al 33’ Pighin
stende Magistrelli dentro l’area, Casarin è vicinissimo all’azione ma non
ravvisa gli estremi per un calcio di rigore che, dalla nostra prospettiva in Curva
Nord, ci era invece parso nettissimo.
Poco dopo,
al 37', una bella azione di Viola per Ferretti, che supera
elegantemente De Luca e centra in pieno la traversa.
Secondo
tempo: la partita è sempre sull’andante-piatto, sembra non debba succedere
nulla. Finché non vediamo Ferretti partire dalla linea di centrocampo,
farsi largo tra compagni e avversari, giungere nei paraggi dell’area e scagliare
un bolide che s’insacca all'incrocio dei pali della porta leccese. Manca una
mezz’oretta, siamo sul 2 a 0, tornare in Serie A, in quel momento, ci sembra
una mera formalità.
Rinfrancato
dal risultato, Vincenzo D'Amico (ritratto nella struggente immagine che
accompagna il nostro articolo) sale in cattedra e la partita diventa la sua.
Tutta la Lazio inizia a giocare bene, come se fosse di una categoria
superiore.
Una serie di
numeri di alta classe, quasi in surplace, due tunnel sul marcatore di turno,
finché, dall'angolo destro dell'area leccese, Vincenzo fa partire un
diagonale che sorprende il portiere giallorosso: 3 a 0.
All’80’ Ferretti
centra il suo secondo legno della giornata. Poi, alla fine, esultiamo tutti
insieme a Vincenzino, che ha segnato il quarto gol, su rigore, concesso per
atterramento di Ferretti da parte di Progna. Il Lecce era andato
in bambola da molti minuti, frastornato dai colpi illusionistici di D’Amico
e dalla tanta fortuna che ci arrise quel pomeriggio.
Invece, ci
attendevano mesi bui, sconcertanti. I Laziali della Generazione Lenzini
ricorderanno l’epilogo della stagione premondiale e la prestazione, salvifica e
indimenticabile, di Vincenzo D’Amico, in quell’uggioso pomeriggio di fine
primavera, durante un Lazio-Varese che andò in scena in un Olimpico più
deserto che mai. Stavamo andando dritti in Serie C senza rendercene conto,
in un pomeriggio all’insegna dell’indifferenza e della solitudine.
Vincenzo D’Amico contribuì a farci vincere lo Scudetto nel 1974; nel 1980 ci tenne a galla e nel 1982 ci salvò dalla sparizione. Come lui, nessuno mai. Forza Lazio!
Ugo Pericoli