Cari
fratelli Laziali,
oggi vi
riportiamo ad una Lazio romantica e antica, quella che si vestiva con il blu
dei completini rimediati da Giorgione Chinaglia durante una breve
vacanza estiva nel Sud dell’Inghilterra.
Torniamo
indietro al 5 ottobre 1969. Il giorno prima la comitiva biancoceleste si è
imbarcata su un volo diretto in Sardegna. Esattamente a Cagliari: per la IV
giornata del Campionato di Serie A 1969/70 se la dovrà vedere con il Cagliari
di Gigi Riva. Durante il volo Lorenzo ha rassicurato i suoi sul fatto
che, in questa partita, i due giocatori più temuti, non potranno scendere in
campo. Sono infatti infortunati si Riva che il brasiliano Nené. Lovati
la pensa diversamente. Il vecchio Bob conosce la forza dei cagliaritani, ed è
consapevole che all’Amsicora, i giocatori laziali incontreranno uno squadrone,
seppur dal nome assai poco altisonante.
È ancora
estate, un’estate sarda che ancora non rappresenta, nell’immaginario
nazional-popolare, il sogno milionario che sarebbe diventato nel corso del
decennio successivo. L’Amsicora ci crede, sono presenti 28.000 persone, metà
delle quali abbonate al Cagliari Calcio 1920: Albertosi, Martiradonna,
Zignoli, Cera, Niccolai, Tomasini, Domenghini, Brugnera, Gori, Greatti e
Nastasio. La panchina è affidata per il terzo anno consecutivo a Manlio Scopigno.
Escludendo la breve parentesi americana con i Chicago Mustangs, una
boutade nella quale solo uno come lui poteva infilarsi, ha costruito con
filosofica pazienza un gruppo affiatato e consapevole della propria forza.
Abbiamo
paragonato il Cagliari di Scopigno ad un laboratorio: potremmo fare lo stesso
con la Lazio di Juan Carlos Lorenzo. Scelto da Umberto Lenzini con puntuale
intuito, il “Mago” sta provando a mixare una miscela fatta di esperienza,
ardimento, scaramanzia e bella gioventù: Di Vincenzo, Papadopulo, Facco,
Wilson, Soldo, Marchesi, Massa, Cucchi, Fortunato, Chinaglia e Dolso. Ci
mancano tre senatori come Mazzolino, Governato e Morrone e sulla cortissima
panchina siedono solo Bob Lovati, il diciottenne portiere di riserva Giorgio
Fiorucci e Gian Piero Ghio.
Abbiamo
appena ottenuto una bella vittoria sul fortissimo Milan. Partiamo benissimo, al
primo pallone giocabile, Cucchi s'insinua tra tre avversari e si
presenta solo dinanzi ad Albertosi. Purtroppo, l’emozione gli tira un
brutto scherzo. Fosse restato freddo, avrebbe potuto effettuare un pallonetto, invece
scarica di potenza e d’istinto, centrando in pieno Albertosi proteso in tuffo. Dopo
una ventina di minuti, nuovamente potremmo passare in vantaggio: è il 21' quando
Fortunato serve Massa, lui si aggiusta il pallone ma al momento
del tiro viene spintonato da Niccolai. Stiamo parlando di un calcio
vecchio di quasi sessant’anni, il VAR è ben lungi dall’essere applicato, non esiste
nemmeno la moviola! Il signor Carminati di Milano fa cenno di continuare. Il
Cagliari a quel punto si rianima, costringendoci a restare nella nostra metà
campo.
Martiradonna,
Nastasio e Niccolai attentano la porta di Di Vincenzo. Verso lo scadere
del tempo, Domenghini calcia un siluro a fil di palo, poi sarà un colpo
di testa di Gori ad obbligare il nostro portiere ad un grande
intervento.
Rientriamo in campo molto arretrati, con l’intento di riuscire a strappare un pari. Attuando questa tattica giochiamo in nove, perché Chinaglia e Massa restano isolati, troppo soli nella morsa dei difensori cagliaritani.
Domenghini lancia
un altro attacco, con un bel pallonetto che esce di poco, poi – sempre lui -
scarica una bordata delle sue alla quale risponde alla grande Di Vincenzo.
Eravamo
arrivati indenni a 2/3 della partita ma improvvisamente i padroni di casa
passano in vantaggio. È il 63': Soldo perde il pallone in modo banale e Brugnera
lo scodella al centro, Di Vincenzo respinge corto – forse troppo corto - sulla
sinistra, dando modo a Domenghini di ribattere con un pallonetto verso la porta
vuota. Sulla traiettoria piomba come un falco Brugnera, che in tuffo, di
testa, deposita nel nostro sacco nonostante il disperato tentativo di Wilson
e Cucchi di opporsi sulla linea di porta: 1 a 0.
Lovati e
Lorenzo mandano tutti in avanti. Fortunato sfiora il palo su punizione, poi
Chinaglia, finalmente, dopo oltre 75 minuti, tenta la via della rete ma è
anticipato di un soffio da Albertosi in uscita disperata.
Anche Dolso
proverà, ma senza fortuna. Solo a due minuti dal termine entra anche Ghio,
una decisione a quel punto inutile, si vedeva che Chinaglia era troppo chiuso,
Ghio sarebbe dovuto entrare appena dopo il vantaggio cagliaritano.
Tornammo a
Roma nemmeno troppo arrabbiati. Sapevamo di non aver giocato benissimo ma
tuttavia, avevamo messo in difficoltà la squadra che, sei mesi più tardi, si
sarebbe laureata Campione d’Italia. Forse, anche per merito nostro: perché
il 12 aprile 1970 sconfiggemmo chi gli stava alle costole, la solita Juventus, mentre
loro battevano il Bari per 2-0 all'Amsicora, acquisendo la certezza matematica
del tricolore con mezzo mese di anticipo.
Chiudemmo la stagione con un onorevole ottavo posto, sopra la Roma e con tante belle speranze. Era una Lazio piccola, che sarebbe cresciuta nel lustro successivo, una squadra simpatia che ti strappava sempre un sorriso, pieno e rotondo, come quello del portiere Rosario Di Vincenzo, ritratto nella bella foto articolo. Sabato pomeriggio, riusciranno i nostri eroi a farci ritornare un sorriso bello come questo?
Forza Lazio!
Ugo Pericoli