Cari fratelli
Laziali, questa sì che è una settimana da cuori forti!
Sconfitta a Bologna,
vittoria con il Feyenoord (ci sta diventando abbastanza antipatica questa
squadra olandese, possiamo dirlo?) e adesso il Derby.
Una cadenza di
appuntamenti che ci ricorda una settimana molto particolare, che andiamo subito
a rievocare per presentare la partita di domenica alle 18.
Era la sera del 19
marzo del 2000 quando Morfeo sembrava aver messo definitivamente a
nanna le nostre residue possibilità di vincere un altro Scudetto.
Una brutta domenica quella di Verona, che aveva messo tutti con il
morale a terra, forse perfino la coppia più ottimista della nostra storia, Sergio
Cragnotti e Sven Goran Eriksson.
Martedì 21 marzo
la Lazio vola a Londra. È il primo giorno di Primavera ma fa freddo a Stamford
Bridge. La Champions League, tanto ambita e a lungo inseguita,
arriva nel momento meno favorevole. Mercoledì sera andiamo sotto per una
bordata di Wise e sembra tutto finito. Poi nel secondo tempo,
assisteremo alla straordinaria rimonta, prima al pareggio di Simone Inzaghi
con un tap-in facile-facile, poi Siniša realizzerà la sua “punizione”
più bella, da posizione davvero difficile. Un tiro da “attimo fuggente”,
e in quell’attimo ci ritrovammo tra le prime 8 di Champions League.
In città gli
equilibri mutarono nuovamente. Avevamo vinto a Londra, ma era ancora
troppo fresca la sonora sconfitta del Derby d’andata. Il giorno prima
però, nell'anticipo del Campionato, la Juventus era uscita sconfitta
dalla sfida con il Milan a San Siro.
Questo ci rianimò
ed anche i nostri giocatori ritornarono a fare i conti con la tabella di marcia
del loro allenatore. Con una vittoria potrebbero riaprire il discorso Scudetto.
Di contro, la Roma è perfettamente consapevole che, battendoci,
spianerebbe la strada alla Juventus, probabilmente a titolo definitivo.
Pertanto, sabato 25 marzo 2000, si giocherà una delle stracittadine più
importanti proprio in occasione dell’ultimo campionato di serie A del XX
Secolo!
È la XXVII
giornata, splende un sole caldo sopra un Olimpico pieno come un uovo.
Noi con Marchegiani, Gottardi, Negro, Couto, Pancaro, Conceição, Almeyda,
Simeone, Nedved, Veron e Simone Inzaghi. In panchina abbiamo un altro
squadrone: Ballotta, Boksic, Lombardo, Mancini, Ravanelli, Salas e Sensini.
Affronteranno una
Roma gasatissima dalle strigliate di Fabio Capello: Lupatelli, Zago,
Aldair, Mangone, Cafu, Di Francesco, Nakata, Candela, Totti, Montella e
Delvecchio.
Ci mancano due
grandi bandiere come Alessandro Nesta e Siniša Mihajlović ma
sventolano quelle dei tifosi in Curva Nord; che non interrompono il loro
sventolio nemmeno quando, al 3' minuto, la Roma passa in vantaggio con Montella.
La squadra invece accusa il colpo. La Curva Sud quasi non ci crede mentre noi
iniziamo seriamente a credere che Montella ci abbia fatto una macumba: l’anno
prima, in occasione di Milan-Sampdoria, aveva tra i piedi il pallone
decisivo per mandare i rossoneri K.O al penultimo minuto ma si era
letteralmente divorato il gol a tu per tu con Abbiati. In estate lo compra la
Roma; contro di noi avrebbe sfoderato la prestazione che conosciamo bene. Molto
più di Francesco Totti, è stato Montella il più mortifero degli anti-Lazio.
Passa un quarto
d’ora e si rivede la Lazio del secondo tempo londinese. Attacchiamo a
ripetizione, spinti da Veron e Nedved, i due che sono rimasti
sempre concentrati anche durante la buriana. Al 25', durante un’ennesima
incursione solitaria, Nedved trova il pareggio, con un tiro che incoccia
le leve di Zago e supera beffardamente il titubante Lupatelli.
La Roma scompare.
Per la Lazio inizia un’altra partita. Passano due minuti, Veron viene
atterrato appena fuori area. Sul pallone, vista l’assenza di Siniša, deve
andarci proprio lui. Otto romanisti vanno a formare la barriera. Sono trascorse
meno di 70 ore dalla prodezza balistica di Siniša
Mihajlović a Stamford Bridge, sono ore decisive per la storia della Lazio: il
tiro magico di Juan Sebastian Veron (ritratto nella foto-articolo
insieme ad altri compagni festanti) aggira la muraglia giallorossa e conclude
la sua parabola sotto la traversa, gonfiando la rete sotto la Curva Sud.
Risultato
capovolto in tre minuti, 2 a 1, in Nord è gioia allo stato puro.
Si fa male Cafù,
uno degli avversari più temuti. Mancano pochi minuti alla fine della prima
frazione quando Luca Marchegiani, in uscita aerea, viene
involontariamente urtato da compagni e avversari. Uno spostamento
impercettibile, che tuttavia lo fa cadere in posizione scomposta, con la testa
verso il terreno di gioco. Il suo collo si gira in modo innaturale e lui perde
i sensi. I sanitari si affollano e sull’Olimpico scende il silenzio. Il Conte
viene trasportato in ospedale con un’ambulanza. A freddo, deve entrare Marco
Ballotta, Classe ’64, una vita nelle serie inferiori. Sta per compiere 36
anni e ancora non sa che il destino sta per regalargli un bimestre ricco di
onore e di gloria.
Ballotta sventa con presa sicura l’ultimo corner,
assegnato alla Roma per un anticipo di Couto su Del Vecchio e si
ritorna negli spogliatoi in vantaggio.
La ripresa inizia
con la Roma in avanti alla ricerca del pareggio, ma al 57' Capello perde anche Candela,
rimanendo senza un altro elemento importante per il suo gioco lungo le fasce.
Siamo un po’
stanchi, nel finale lasciamo un po’ di campo ai Giallorossi. Negro
e Couto sembrano due totem, sono insuperabili di testa. È in campo Guerino
Gottardi e noi ci divertiamo tanto quando gioca lui. Ballotta sarà
il primo a correre verso la Curva Nord quando al 96', il signor
Messina della Sezione di Bergamo decreterà la fine della
stracittadina. Andammo a 6 punti dai bianconeri, prossimi avversari al Delle
Alpi, lo stadio torinese che si chiamava come una pensione.
Mancano poche ore a questo Lazio-Roma e dobbiamo essere onesti: non ci aspettiamo certo di rivedere una Lazio formato secondo tempo Stamford Bridge. Era una Lazio stellare, forse irripetibile. Però ci accontenteremmo di una Lazio versione secondo tempo col Feyenoord, una squadra che lotta su ogni pallone e che, alla fine, qualcosa di buono l’ottiene sempre. Forza Lazio!
Ugo Pericoli