Cari fratelli Laziali,

con lo sguardo rivolto al futuro, all’imminente sorteggio che rivelerà la nuova e prestigiosissima avversaria europea, vi riportiamo indietro al 22 marzo 1970. Al tempo di una Lazio che stava facendo le prove per ritornare grande in pianta stabile.

Perché 53 anni fa, a Roma, c’era solo la Roma. No, non stiamo riportando la frase degli adesivi che imbrattano tanti cartelli stradali della nostra città. Nel 1970 non esistevano ancora le Radio Private, la stampa cittadina era monopolista della narrazione nonché creatrice della realtà da configurare.

In molti si adoperavano affinché dei biancocelesti non vi fosse traccia. D’accordo, noi ci mettevamo del nostro, ad eccezione della Coppa Italia 1958, i risultati sportivi del sodalizio biancoceleste non erano certo brillanti.

Fu sul finire degli anni Sessanta che la narrazione agiografica verso l’altra squadra cittadina iniziò a consolidarsi fino a diventare sistemica.

Potremmo stare qui a parlarvene per ore. Sarà meglio procedere verso quel lontano Lazio-Inter, che si disputò nella XXV giornata del Campionato di Serie A 1969/70.

Per il secondo anno consecutivo, siede sulla panchina laziale il Mago Lorenzo. Sta ben figurando con la sua Lazio, che quel giorno vede tra i pali Rosario Sarìn Di Vincenzo, poi Habemus Papadopulo, il futuro capitan Wilson, il Professor Governato, Baffo Polentes, mister Marchesi, il Viceré di Napoli Peppino Massa, Ferruccio Mazzola, Giorgione Chinaglia, Gian Piero Ghio e il Gaucho Morrone.

L’Inter di Heriberto Herrera è il solito squadrone: Vieri, Bedin, Facchetti, Bertini, Landini, Cella, Jair, Vanello, Boninsegna, Suarez e Corso.

L'Inter può solo vincere. La formazione di HH2 - la stampa nazionale ha ribattezzato così Heriberto Herrera, per distinguerlo dal più noto collega Helenio Herrera, già famoso come HH - per potere ancora sperare di dire la sua nella lotta per lo Scudetto, deve conquistare l’intera posta. È però un Inter decimata dagli infortuni: Burgnich, Mazzola e Bellugi non ce l’anno fatta, mentre Lorenzo, a parte il lungodegente Mario Facco, dispone dell'organico al completo.

L’Inter parte a spron battuto, ma solo al 24', Mariolino Corso ci fa spaventare veramente, centrando la traversa con un calcio di punizione dei suoi.  Subito dopo, Di Vincenzo deve impegnarsi in un’uscita decisiva su Boninsegna. Anche noi battiamo due colpi: il primo con Governato, poi con Wilson, ma i loro tiri si perdono sulle piste dell’Olimpico. Al 37' Papadopulo perde di vista Bertini, che dal limite centra il palo.

Arriviamo al 39’: Chinaglia riesce a controllare un pallone vagante, parte da metà campo e inizia a scendere sulla sinistra, a larghe falcate. Landini gli si avvicina, per una decina di metri corrono affiancati, Giorgione resiste, anche Cella gli si fa incontro e lui lo supera sullo slancio. Long John è un toro inarrestabile: da posizione molto angolata, lascia partire un sinistro al fulmicotone, un tiro “all’antica”, uno di quelli che, con i canoni del calcio di oggi, fatto di passaggi brevi e tocchettini rasoterra, quasi non si vedono più.

Il bolide s'insacca a mezz’altezza, tra palo e mano del portiere: 1 a 0, Giorgio va a prendersi l’applauso della Tribuna Tevere Sud mentre l’Olimpico si colora di bandiere.

Prima che l’internazionale Francesco Francescon fischi la conclusione del primo tempo, Chinaglia ci prova ancora ma Landini interviene, stavolta con maggiore fortuna.

Nel secondo tempo l'Inter riparte incarognita, tra Papadopulo e Wilson viene issata una Maginot invalicabile. Al 60’ però, proprio tra Wilson e Papadopulo, si verifica uno scontro aereo. Ha la peggio il Duca di Darlington, che è costretto a lasciare il campo. Gli subentra Fortunato.

Chinaglia continua a essere imprendibile con le sue progressioni. Giorgione tenta di raddoppiare, colpendo il pallone da una posizione molto simile a quella del primo tempo. Stavolta però il tiro risulta più debole e prevedibile.

Al 62’, anche Bedin rimane vittima di un infortunio, deve abbandonare il campo, lasciando la sua squadra in dieci. Heriberto Herrera, ha già effettuato l’unica sostituzione a quei tempi consentita. Così al 64' arriva il nostro raddoppio: Fortunato, che ha impattato molto bene sul match, ne ha fatto saltare gli equilibri (i telecronisti di oggi, con infelice formula, dicono ha spaccato la partita). Riceve il pallone da Massa, con un guizzo salta prima Corso, e subito dopo Cella, e giunge sulla linea di fondo; si trova di fronte Vieri, uscito dai pali per stringergli lo specchio di tiro. Allora Fortunato tocca all'indietro verso l'accorrente Ghio, il quale non deve fare altro che appoggiare in rete a porta vuota: 2 a 0, un gol facile-facile, che giunge a conclusione di un’azione corale durata circa trenta secondi. 

A quel punto rallentiamo un po’ e l'Inter, meritatamente, accorcia le distanze con Boninsegna, che si esibisce in una girata al volo che brucia sul tempo Di Vincenzo.

È il primo giorno di primavera del 1970, splende un sole dorato, che si riflette sulla collina alberata, tra le tribune dello stadio e il marmoreo monolite del Ministero degli Esteri: è in questo scenario, che all’ultimo minuto, Giuseppe Massa, al termine di una triangolazione con Governato e Ghio, supera per la terza volta Vieri, con un tocco d'esterno carico d’effetto e colorato con la fantasia.

Si concluse così, la più bella partita disputata dalla squadra all’Olimpico, una Lazio vestita, come si può vedere nella struggente immagine in testa all’articolo, di una meravigliosa divisa di gioco.

Era l’ultimo campionato dei nostri anni Sessanta: ci saremmo piazzati all’ottavo posto, un risultato più che positivo per una neopromossa e per di più, sopra la Roma.

Una Lazio sbarazzina ma purtroppo illusoria. L’anno successivo saremmo nuovamente retrocessi. Era scritto nelle stelle, doveva andare così, anche se in quel momento non potevamo saperlo. Si doveva compiere un percorso: si stava esaurendo la stella, uterina e incostante, di Juan Carlos Lorenzo e stava per arrivare quella, brillante e luminescente, di Tommaso Maestrelli.

Quanta storia! È proprio vero… quant’è bello esse Laziali!

Ugo Pericoli