Cari fratelli Laziali,

non vedevamo l’ora ricominciasse il campionato tanto belle erano state le sensazioni provate durante il secondo tempo di Napoli. Un’impressione netta di dominio costante, quella sensazione magica che ti prende quando senti che ogni contropiede può nascere un gol!

Per il ricordo di oggi ce ne andiamo un po’ indietro nel tempo, alla stagione del nostro definitivo ritorno in Serie A.

È domenica 11 giugno 1989, andiamo a Torino per incontrare i Bianconeri, mancano tre giornate alla fine di un campionato che per noi deve essere necessariamente di “assestamento”, dopo otto anni di perigliosi saliscendi e gestioni economiche scellerate.

Dall’avvento del Milan berlusconiano, la Juventus sembra aver perduto il tradizionale smalto. Eppure, la formazione è sempre di prim’ordine: Tacconi, Napoli, De Agostini, Galia, Favero, Tricella, Marocchi, Magrin, Buso, Zavarov e Laudrup. Fa anche una certa impressione la panchina che Dino Zoff ha a disposizione, infarcita, oltre ai soliti big, anche di due campioni del mondo: Bodini, Rui Barros, Brio, Altobelli e Cabrini.

Quanto a noi, Giuseppe Materazzi sta riuscendo nella missione: dovrà essere una stagione di risanamento, sia tecnico che psicologico, la squadra dovrà non solo restare in Serie A ma dovrà fornire precise indicazioni circa il suo futuro.

È ad un passo dalla quota salvezza ma le ultime partite saranno tutt’altro che facili. Per la sfida con la Juve ci mancano due pilastri del centrocampo, Pin e Icardi. Spazio dunque a Fiori, Monti, Piscedda, Beruatto, Gregucci, Gutierrez, Greco, Acerbis, Di Canio, Sclosa e Sosa. In panchina, alquanto striminzita, è composta da Martina, Di Biagio, Delucca, Dezotti e Rizzolo.

Lo stadio è semivuoto, i tifosi di casa sono alquanto disamorati. Quasi inconsciamente, impostiamo la partita all’insegna di un malsano attendismo. Attendiamo un regalo da parte dei padroni di casa: cosa gli serve vincere a tutti i costi?

Passa un quarto d’ora e passiamo in vantaggio: calcio d’angolo, Gregucci svetta di testa e realizza un bellissimo gol. A casa ci abbracciamo, convinti di salvarci con largo anticipo. Angelo ha davvero segnato un gol alla Bettega e noi, ingenuamente, crediamo di avere di nuovo una grande squadra.

Passano meno di cinque minuti che Buso ci riporta con i piedi per terra: 1 a 1.

Tuttavia, con il passare dei minuti, ritorna l’impressione di una squadra in grado di controllare agevolmente, con Laudrup e Zavarov dinamici ma ben controllati dai nostri difensori.

La Juve appare svagata, noi sembriamo umili e concentrati. Manca poco all’intervallo, il primo tempo si sta chiudendo nel silenzio di uno stadio abituato a ben altre performance. Forse per la troppa rilassatezza, Napoli e Tricella si ostacolano vicendevolmente lasciando via libera a Ruben Sosa.

Ruben, facilitato dal suo baricentro basso, resiste ad un tentativo di cariche e supera anche Tacconi con un misto di tecnica, tenacia e furbizia: 1 a 2.

Al rientro dagli spogliatoi osserviamo la formazione. Materazzi non ha cambiato nulla, l’intenzione è di mantenere l’inerzia del primo tempo.

Dino Zoff ha rimescolato le carte davanti: Barros al posto di Napoli mentre Materazzi, confidando sul fatto che l’avversario sarà infarcito di centrocampisti (con Buso unica punta) preferisce non apportare modifiche all’assetto di partenza.

Laudrup, Zavarov e Marocchi, che nel primo tempo erano apparsi scollegati, con Barros hanno trovato il collante necessario per intercambiarsi a turno con Buso. La pressione diventa costante, la Juventus ottiene tre angoli di fila. Il pareggio è nell’aria. Dai e dai, Piscedda finisce sulla traiettoria sbagliata e segna un autogol (nella foto, uno sconsolato Beruatto fa da contraltare alla soddisfazione di Buso) che ristabilisce la parità mettendoci pure nei guai.

Perché la Juve di lì a poco inizierà a dilagare: gli spazi si aprono soprattutto per Laudrup, che appare trasformato e assai più cinico e concreto rispetto alla prima frazione. La Juventus passa in vantaggio con De Agostini, alquanto impalpabile fino a quel momento, che indovina il gol della domenica: 3 a 2.

A quel punto Materazzi manda i suoi all’arrembaggio. Paoletto Di Canio, cuore di Lazio, è punto sul vivo e si carica sulle spalle la squadra. Con una serpentina sulla destra, entra in area ed effettua un tiro-cross che avrebbe decisamente meritato miglior sorte. Poi è ancora Tacconi ad opporsi a un suo tiro secco e preciso. Finché, sul finire, anche l’irriducibile Di Canio deve alzare bandiera bianca: Buso ha segnato il quarto gol, andiamo al tappeto, non del tutto meritatamente.

Dalla salvezza anticipata allo spettro dell’ennesima retrocessione il passo è stato breve. Se all’intervallo stavamo con un flûte in mano, pronti a brindare alla vittoria sulla Juve, dopo meno di un’ora recitiamo il de profundis. Tutti i nodi sono venuti al pettine nell’ultimo quarto d’ora. Un solo punto ci divide dal duo dei messi male, il Torino e il Pescara. Materazzi mastica amaro, teme di mandare a monte mesi e mesi di meticoloso lavoro. Inutile fare giri di parole: siamo nuovamente in piena bagarre come se fossimo tornati alla sventurata Lazio di inizio anni Ottanta.

Fortunatamente, il nostro decennio maledetto si concluderà in ben altra maniera. Gianmarco Calleri riuscirà nella difficile impresa di mettere in salvo la navicella della Lazio e di consegnarla in mani sicure.

Adesso è tempo di Juventus Lazio: sono trascorse due settimane, bella la Nazionale ma siamo ansiosi di rivedere all’opera la squadra che ha illuminato la notte di Napoli. Forza Lazio!

Ugo Pericoli