Cari fratelli Laziali,
cercare di descrivere, riassumendole in qualche frase,
le sensazioni che si provano durante la settimana prima di un derby è, oltre
che faticoso, anche inutile. Perciò ce ne andiamo dritti all’amarcord di oggi
tornando indietro al 15 gennaio 1989.
È la tredicesima giornata del campionato di Serie A, è
una domenica di metà inverno, una giornata dal clima eccezionalmente mite con
una leggera punta di umidità. Ci siamo alzati presto stammatina, è la
domenica del Derby, siamo emozionati, è un evento che manca da troppo tempo,
non tanto alla Città, quanto a noi. È dal 24 marzo 1985 che non se ne disputa
uno. Quella volta fu un triste pareggio, un 1 a 1 tra una squadra assai
mediocre ed un’altra, la nostra, sbagliata da cima a fondo.
Negli ultimi cinque anni, da un cantuccio scomodo della
Serie B, abbiamo assistito inermi ai tentativi di successo (pochini, in verità)
dei nostri dirimpettai, ed anche alle loro più riuscite commedie sul suicidio
calcistico (fu peggio il Liverpool o il Lecce?). Spettacoli cui assistevamo da
lontano, impegnati come eravamo a salvarci dalla Serie C, e – probabilmente -
dalla nostra definitiva scomparsa. Avevamo sognato a lungo il momento di
tornare ad affrontarli ad armi, se non pari, almeno della stessa “serie”. E
invece quel mattino, tra infortuni ed influenze stagionali, prendiamo coscienza
che al buon Giuseppe Materazzi mancano parecchi titolari: Martina,
Sclosa, Gregucci, Gutierrez oltre all’acciaccato Rizzolo,
prudentemente lasciato in panchina anche in ottica calciomercato.
Al signor D’Elia di Salerno Maurizio Manzini
consegna la seguente lista: Fiori, Monti, Beruatto, Pin, Marino, Piscedda,
Dezotti, Icardi, Di Canio, Acerbis e Ruben Sosa. Per la panchina sono riportati
i nomi di Massimo Bastianelli, il diciannovenne terzo portiere proveniente
dall’Almas Roma, Di Loreto, Greco, Muro e appunto Rizzolo.
Nils Liedholm
è messo decisamente meglio, con i vari Tancredi, Tempestilli, Nela, Massaro,
Oddi, Collovati, Renato, Desideri, Voller, Giannini e Policano. La sua panchina
è ricca di qualità e di grandi nomi: Peruzzi, Gerolin, Andrade, Bruno Conti e Rizzitelli.
In un Olimpico in via di ristrutturazione (o dovremmo
dire, di devastazione?) per via degli imminenti mondiali di Italia ’90,
sono presenti poco meno di 35.000 spettatori, quasi tutti tifosi della Lazio.
In curva nord abbiamo realizzato un grande cuore. Nun
è gnente de straordinario, è robba der paese nostro, avrebbe detto Nino
Manfredi - ed infatti si tratta solo di una paleo coreografia, ma
dentro quel cuore ci sono anni di bocconi amari e di “vorrei ma non posso”;
adesso però non ci importa più, perché ora siamo lì, consapevoli che – comunque
andrà, siamo soltanto una neopromossa che incontra una squadra con due campioni
del mondo e altri tre o quattro elementi aspiranti tali. A dire il vero, anche
la Roma può lamentare una grande assenza: Lionello Manfredonia ha infatti
creato le condizioni per non giocare contro la sua ex squadra e non giocherà
questo derby.
Sospinta da un tifo appassionato in pieno stile Anni
Ottanta (i laziali con più di cinquant’anni sanno cosa intendiamo dire) i
nostri iniziano immediatamente a creare gioco con manovre semplici, se vogliamo
anche elementari - ma comunque sempre essenziali e proficue. Icardi, Beruatto,
Acerbis e soprattutto Pin, sembrano voler prendere per mano i
compagni più giovani e inesperti, come Marco Monti e Paolo Di Canio.
Dopo venti minuti, abbiamo sviluppato un gran possesso palla e zero tiri in
porta. È pochino, lo sappiamo, ma in campo loro hanno dentro gente come Nela,
Giannini, Voller e Collovati. Hanno anche Renato Gaucho
Portaluppi, sorriso Durban ’s e abbronzatura da coattone d’inverno,
regalo dei bagni di sole sulle spiagge brasiliane durante la recente sosta
natalizia. Di Renato, in quarantacinque minuti, ricordiamo due palleggi e quattro
lisci - giusto per strapparci un sorriso e far imbestialire tutti i romanisti –
inclusi il dottor Alicicco e il compassato Nils Liedholm.
Anche per questo i nostri dismettono ogni indugio e si
lanciano all’attacco. Dezotti e Ruben Sosa svariano dalla destra
al centro; ogni tanto si intravede Paolo Di Canio, intimidito all’inizio
dall’autorevolezza di grandi star come Nela e Massaro. Ad ogni
tentennamento di Desideri e di Giannini, i nostri prendono
coscienza della propria forza. Anche Monti, anche Di Canio. Al 24’ proprio
Marco Monti avvia un’azione di rilancio lungo la fascia sinistra, il
pallone perviene a Ruben Sosa, che appare però ben marcato. Gli riesce un
dribbling, passa verso il centro dove, ignorato dall’intera retroguardia
romanista, sta sopraggiungendo a tutta velocità Paolo Di Canio, che
scarica una bomba di collo destro e fa 1 a 0 per noi. Di Canio ha appena
segnato il suo primo gol in Serie A e per farlo ha scelto il Derby.
In curva Nord, mentre osserviamo i nostri rientrare
negli spogliatoi, ripensiamo al derby in cui eravamo stati in vantaggio per
l’ultima volta: era il 26 febbraio di cinque anni prima, Vincenzo D’Amico
aveva segnato una doppietta e Agostino Di Bartolomei aveva accorciato le
distanze. Quel giorno pareggiammo per 2 a 2, una nostra “quasi” vittoria che
alla Roma sarebbe costata uno scudetto. Ma oggi non c’è un granché da fargli
perdere, mentre per noi vincere sarebbe la liberazione da un incubo.
La visione del caschetto di Bruno Conti, ad
inizio ripresa, ci fa provare qualche brivido di paura. Liedholm si è reso
conto della pochezza tecnico-tattica di Renato e l’ha sostituito con uno dei
più forti giocatori di sempre, Bruno Conti appunto. È subito un’altra Roma, più
concreta e spiccia. I nostri non sono affatto dei fuoriclasse ma Piscedda,
Marino, Beruatto, Fiori, oltre al già citato Monti, stanno
per diventare i protagonisti di quella giornata. Dopo la prodezza di Paolo Di
Canio, sarà una splendida parata di Valerio Fiori a togliere dal sette
un pallone velenosissimo tirato da Bruno Conti direttamente dalla bandierina
del corner.
Mentre Materazzi siede serafico in panchina, Liedholm deve
subire le occhiatacce del medico-tifoso Ernesto Alicicco. Allora arretra Bruno
Conti in cabina di regia, alla Falcao per intenderci, al fine di consentire
l'avanzamento di Giannini, che scalpita per pareggiare. Ma è un “Principe”
nervoso, che ci sta sformando per la pochezza della sua Roma e si fa
ammonire per un fallo di frustrazione su Di Canio, ormai lanciato a rete.
Nell’ultimo quarto d’ora il nostro tifo va alle
stelle, ogni contropiede potrebbe tramutarsi in gol perché la Roma si è
disunita allungandosi in modo anarchico. Al 77', Icardi apre per Di Canio, ne
nasce un tiro sbagliato che diventa un assist per Dezotti che arriva sul
pallone con una frazione di ritardo. Il tiro “sbagliato” di Di Canio ha fatto
comunque la barba al palo. Sarebbe stata doppietta per il ragazzo del
Quarticciolo. Paoletto nostro stava per compiere una prodezza che
avrebbe fatto impallidire anche il sommo Giorgio Chinaglia.
Ci sarà ancora tempo per una traversa di Voller su
corner di Desideri e per un bolide di Piscedda, che confermerà la gran
bravura del Franco Tancredi di quegli anni. Poi sarà solo Lazio, sarà
la domenica trionfale di Paolo Di Canio (ritratto nella foto-articolo) e
della sua esultanza con l’indice alzato, come Chinaglia, più di Chinaglia, immortalato
nello scatto che genererà un nuovo immaginario nel lungo romanzo della stracittadina.
3588: un numero
notevole, quello dei giorni trascorsi dall’ultima vittoria in un derby, avvenuta
in rimonta, un ricordo ormai sbiadito dal tempo, il gol di Aldo Nicoli, che
da terra e in mezza rovesciata realizza il gol vittoria all’89’ minuto nel Roma
Lazio di domenica 18 marzo 1979.
Quel giorno il Presidente della Lazio era Umberto
Lenzini. Dopo 3588 giorni, dopo un’attesa durata quasi dieci anni, un altro
presidente avrebbe provato l’onore e la gioia di vincere il Derby: Gianmarco
Calleri.
In attesa del prossimo Derby vogliamo ricordare la
figura di Gianmarco Calleri dedicandogli questo Mi ritorni in
mente. Gianmarco raccolse la carica presidenziale e contribuì a
risanare la situazione economica del nostro Sodalizio, per poi iniziare la fase
di rilancio in Serie A. Acquistò bravi giocatori come Rubén Sosa, Kalle
Riedle e Thomas Doll, fu lui a mettere il sigillo sull’acquisto di
una superstar come Paul Gascoigne, all’epoca uno dei più famosi
calciatori del mondo. Acquisì il terreno sui quali nascerà il Centro
sportivo di Formello. Solo nel febbraio 1992, una volta messo al sicuro
la società, Gianmarco affiderà la Lazio a Sergio Cragnotti.
Se ad Umberto Lenzini si deve la romantica Lazio del primo Scudetto, a Gianmarco Calleri ne va riconosciuta un’altra, meno talentuosa ma parimenti romantica: la Lazio dei meno nove. A tutti i tifosi biancazzurri auguriamo uno splendido Derby. Forza Lazio!
Ugo Pericoli