Cari fratelli Laziali,

ricorderemo a lungo la magica notte di Firenze. Pirotecnico il gioco, splendidi i quattro gol, da urlo Ciro, impegnato nel tentativo di spaccare la traversa con un tiro al fulmicotone, roba da cannoniere anni Sessanta. Ma se dovessimo scegliere un’immagine sola per descrivere il magic moment laziale, sceglieremmo quella Sarri ai microfoni di Dazn:

“Ho detto a Massimo Maestrelli che il mio sogno prima di smettere è quello di giocare al Flaminio e spero che lo stadio possa essere chiamato stadio Tommaso Maestrelli”.   

Da Maestrelli a Sarri, da Sarri a Maestrelli: gli allenatori e i maestri, nello sport e nella vita, rivestono ruoli fondamentali. Claudio Lotito scelse Sarri perché era uno – ricordate? – che insegnava calcio. Speriamo di chiudere questo cerchio chiamato Stadio Flaminio: il sogno di ogni laziale, la sua casa e quella degli scudetti che inevitabilmente arriveranno.

E se pensate che oggi ci siamo lasciati andare, se credete che siano stati sufficienti tre poker consecutivi per farci gridare al “recordeee”, sappiate che non solo restiamo con i piedi per terra ma che, per il ricordo di oggi, abbiamo scelto di andare a sfruculiare una delle pagine più nere della nostra storia.

Vi riportiamo alle ore 14:30 del 27 gennaio 1985, la diciassettesima giornata del Campionato di Serie A 1984-85. Siamo terz’ultimi in classifica e attendiamo l’Udinese nel primo degli scontri salvezza del girone di ritorno.

Il caro, frastornato, e mal consigliato Giorgio Chinaglia, ha affidato da alcuni mesi le sorti della S.S Lazio a Juan Carlos Lorenzo. In poche settimane l’argentino è diventato la macchietta del Campionato. La cosa non ci sconvolgerebbe più tanto se non fosse che, a causa delle sue scelte uterine, siamo la barzelletta dell’intera Serie A.

Scendere in campo quella maledetta domenica tocca a Orsi, Calisti, Filisetti, Vianello, Batista, Storgato, Laudrup, Vinazzani, Giordano, D'Amico e Manfredonia. Sulla panchina, Cacciatori, Fonte, Garlini, Torrisi e Marini, possono toccare con mano l’isteria tattica del loro allenatore. È una Udinese a trazione brasiliana, Zico, Edinho e l’allenatore Luis Vinicio erano partiti con ben altri obiettivi ma ora sono lì, in un Olimpico nemmeno troppo avvelenato, a giocarsi un turno importante: Brini, Galparoli, Cattaneo, Gerolin, Edinho, De Agostini, Mauro, Miano, Selvaggi, Criscimanni e Carnevale.

Durante le feste di Natale a Lorenzo è venuta la fissa delle tabelle. In settimana ne ha approntata un’altra, più bislacca che mai: dovremmo conquistare 27 punti in 15 partite. “D’accordo signori, arriva l’Udinese. Ma avete visto che gli manca Zico?” bofonchia in sala stampa tentando di incantare i presenti. A chi gli ricorda che all’andata ce ne hanno fatti cinque, replica: “inizieremo proprio da questa domenica, contro un’avversaria tutt'altro che irresistibile”.

In curva siamo certi di vincere: a noi ventenni, che di Lorenzo abbiamo sentito parlare solo da qualche parente più attempato, Lorenzo è riuscito a fare il lavaggio del cervello. Vediamo i nostri muoversi come tarantole: è il secondo minuto, Storgato entra in scivolata su Mauro e per poco non gli fa saltare tibia e perone. Riconsideriamo l’assetto tattico con il nostro vicino di posto: Podavini relegato in tribuna, Spinozzi addirittura fuori rosa, D’Amico centravanti, Giordano ala, Manfredonia tornante. Dopo qualche minuto, ci rendiamo conto che è la solita, tragica Lazio. Anzi, se possibile, anche un po’ peggio. Al 35’ Edinho si aggira nel cerchio di centrocampo, come un gatto che si stiracchia prima di procacciarsi del cibo. Lo vediamo partire all’improvviso, poi accelerare, saltando i nostri come birilli, uno, un altro, poi un rimpallo, ed entrare in area liberissimo: bordata all'angolino, Orsi proteso per tentare di bloccare quel missile mortifero. Il cielo, già d’un blu scuro tendente al grigio, diventa improvvisamente plumbeo: non passano che sei minuti e ci tocca assistere al suicidio collettivo di una formazione scritta malissimo. Uno dei giocatori più tecnici, Michelino Laudrup, si smarrisce davanti a Carnevale, consegnandogli il pallone. L’attaccante non ci pensa due volte e, vedendo Orsi sbilanciato in avanti, lascia partire un colpo da sotto, un pallonetto che è già un K.O tecnico. 0 a 2, un affronto al pubblico laziale, una dormita collettiva, uno sfregio che i nostri giocatori fanno a loro stessi. Il tifo sugli spalti è stato incessante ma in Nord vediamo qualche ragazzo più “emotivo” lasciarsi andare a frasi di intemperanza. Si sta facendo buio ma a livello di gioco è già notte fonda. Un altro quarto d’ora e l’Udinese ce ne fa un altro: stavolta tocca a Gerolin affondare il colpo, come una lama incandescente in un panetto di burro. Con D’Amico intristito lì davanti, Manfredonia involuto, Laudrup frastornato, tocca a Giordano tentare di recuperare il timoneOliviero Garlini, entrato al posto di Vincenzino D’Amico, si procura un rigore e Brunetto lo trasforma. Il tifo riparte, ci crediamo nonostante manchi solo un quarto d’ora. C’è un’occasione che potrebbe cambiare il corso della partita e dell’intera storia di quel campionato. Giordano porge un pallone d’oro per Storgato: è il pallone della speranza ma Storgato centra in pieno l'unico difensore in traiettoria. I più anziani, capita l’antifona, abbandonano lo stadio a passi lenti. Anche noi siamo tentati di imitarli ma restiamo fino alla fine. Non possiamo mancare di assistere all’ennesimo contropiede, il quarto della partita, che ci costa il cappotto, un poker che l’Udinese ci sventaglia in faccia e che olezza di serie B con tutto il girone di ritorno ancora da disputare.

Che altro dirvi su quella sciagurata stagione, su quel campionato disputato dalla Lazio più sconclusionata di sempre?

Che gli allenatori “contano” e possono fare la differenza. Come Tommaso Maestrelli, che ci fece vincere uno scudetto modellandolo dal nulla, dal fango del dio pallone. E come Maurizio Sarri, che sta provando – ma non andateglielo a riferire – a farcene vincere un altro con il suo gioco divertente ed ipnotico.

E poi ci sono quelli come Lorenzo: che arringano i loro ragazzi, li additano, proprio come fece lui quel giorno, immortalato nella foto in bianco e nero che abbiamo scelto per il nostro articolo.

Domenica contro l’Udinese sarà una partita difficilissima. Restiamo umili, poi si vedrà. Forza Lazio!

Ugo Pericoli