Cari fratelli
Laziali,
fortunatamente,
prestazioni indifendibili come quella offerta in Arabia
Saudita, noi della Lazio ne subiamo davvero poche. Si è trattata di una debacle
completa. Qualcuno ha avanzato l’ipotesi, che a livello motivazionale, la Lazio
non fosse scesa in campo. Invece la partita l’ha disputata, fornendo una
prestazione vuota, pessima, da squadra sconclusionata, portata a termine con
estrema fatica da giocatori spenti, fragili e logori.
Non abbiamo più
aggettivi, ma al contempo, non crediamo sia questa la vera Lazio. Adesso,
cerchiamo di mettere da parte questa batosta, entrando in modo giusto nel clima
dei prossimi fondamentali appuntamenti, il primo dei quali sarà proprio contro
l’altra delusa dalla trasferta arabica, il Napoli di Walter Mazzarri.
Per il ricordo di
oggi, abbiamo scelto un Lazio Napoli che andò in scena tra i freddi marmi
dell’Olimpico, in un lontano gennaio. Siamo nell’inverno del 1973: per l’ultima
giornata di andata del Campionato di Serie A 1972-73, arriva il Napoli
di Beppe Chiappella.
Tommaso Maestrelli dispone di una Lazio a pieno organico: Pulici, Facco, Martini,
Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia, Frustalupi e
Manservisi.
Il Napoli si presenta
con Carmignani, De Gennaro, Rimbano, Zurlini, Vavassori, Esposito, Damiani,
Juliano, Abbondanza, Improta e Mariani.
Sono le 14:30
quando il signor Gonella avvia le ostilità. Nel cerchio del
centrocampo vediamo Giorgione Chinaglia agitarsi più del
solito. Ci sono voluti cinque mesi, perché il grande pubblico prendesse
coscienza della potenza dirompente del nostro centravanti. D’accordo, avevamo
vinto il Campionato di Serie B ma tutti, tra avversari, tifosi e giornalisti,
erano rimasti colpiti più dal collettivo maestrelliano, che
dal singolo calciatore. Per Long John le cose si sono messe
diversamente. In trasferta, all’ingresso in campo, non viene più accolto come
l’alfiere della squadra rivelazione, la squadra “simpatia”. Chinaglia è
diventato forte, è nel giro della Nazionale. Qualche giorno prima si è
disputata Italia Turchia, partita valevole per la qualificazione
a München 74. Il pubblico si attendeva molto da lui: Giorgio non ha
affatto brillato ed è stato sostituito, a tre quarti di gara, dallo
juventino Pietruzzo Anastasi. Il risultato è rimasto
inchiodato sullo 0 a 0 fino alla fine ma la colpa per questo pareggio a reti
bianche, è stata ascritta soltanto al laziale. Sappiamo che Giorgione
vive per il Gol. Come sostiene egli stesso, “io devo fare go”.
Il mercoledì
precedente, inoltre, ha avuto luogo un inconsueto turno infrasettimanale. La
Lazio ha rimediato una sonora sveglia a casa del Milan. Si sa come sono fatti i
tifosi, anche quelli di una squadra neopromossa: all’inizio, parti che devi
salvarti, e ogni risultato va bene. Se poi, come nel caso nostro, ti ritrovi in
vetta ad un terzo di torneo, il tifoso inizia ad attendersi che il
miracolo si rinnovi, di domenica in domenica. Così, le tre pappine incassate
a San Siro, hanno innervosito tutto l’ambiente-Lazio. Ha più di un
motivo Giorgione per sentirsi agitato, mentre attende il fischio d’avvio
di Sergio Gonella. Sogna di fare go subito subito, una
cosetta veloce e indolore, per mandare in archivio anche il Napoli. Su Roma c’è
un tempo da lupi, una pioggia e una “fanga” che nemmeno i campacci gibbosi
degli arenili di Swansea.
Giorgio è tra i primi
ad impantanarsi sul terreno dell’Olimpico, seguito a ruota dai suoi compagni,
che ad uno ad uno, sembrano assistere passivamente alle manovre di un Napoli
iper-difensivista, assecondato nel suo intento dal terreno allentato, che
favorisce il contendente meno dotato tecnicamente.
Per quanto oggi possa
apparire assurdo, alla fine del primo tempo, Maestrelli e i suoi uomini scendono
negli spogliatoi accompagnati da bordate di fischi di disapprovazione.
Secondo tempo. Sono quasi le quattro, sta già facendo scuro, ci vorrebbe un raggio di luce. Che arriva,
puntuale e sottile, come la figurina dell’uomo che ci ha portato in
vantaggio: Pierpaolo Manservisi. Ha intercettato l’attimo
fuggente, una sliding door equivalente ad un pallone che saltella incerto, solo
soletto davanti alla porta di Carmignani. È il 50’ quando Uccellino segna
il suo primo gol stagionale proprio alla sua ex-squadra. Il popolo biancazzurro
si abbraccia, gli ombrelli volano via, sospinti verso l’alto da una forza
invisibile, quella di una gioia irrefrenabile. Quando la Banda
Maestrelli prende coscienza della propria forza, si spezzano gli
equilibri e cambiano le prospettive. D’un tratto, c’è solo una squadra in
campo: il pallone è viscido e pesante d’acqua, il terreno è un pantano, ma i
nostri dominano anche gli elementi. Il Napoli, che per tutto il primo tempo
aveva contato su quel terreno come su un fedele alleato, si ritrova spiazzato.
Passano i minuti, ogni contrasto è un combattimento a due: finché al 69', Chinaglia serve Franco Nanni, Bombardino non
ci pensa due volte e col sinistro lascia partire un fendente, un pallone armato di
acqua e di fango, e Carmignani è steso per la seconda volta.
Il Napoli non ci sta
a perdere in questo modo. Mancano venti minuti al fischio finale, tra Giorgione e Vavassori iniziano
le scintille, qualche parola di troppo e forse qualcosa di più. Tre minuti al
90’: lancio perfetto di Mario Frustalupi, Giorgio ci arriva in
tempo in tempo, segnando una spettacolare rete di destro che s’insacca alle
spalle di Carmignani. È apoteosi-Lazio: con le maglie appesantite
da una crosta di fango, i nostri giocatori si attardano a festeggiare sotto
la Curva Sud, mentre Carmignani e Vavassori vanno
a protestare con Gonella, lamentando un presunto fuorigioco,
all’inizio dell’azione, non ravvisato dal direttore di gara. Al fischio finale,
qualcuno proverà a far placare gli animi, come Luciano Re Cecconi –
ritratto nella foto in testa al nostro articolo – o come Felice Pulici e Mario
Frustalupi, inascoltati pacieri di una partita che, al ritorno, potrebbe
scatenare pianto e stridore di denti.
Purtroppo, quel che
accadrà, dal tunnel al sottopassaggio e poi ancora più giù, fino alla pancia
dell’Olimpico, è ormai entrato nella mitologia e nell’epica del nostro
Sodalizio. In prossimità degli spogliatoi, Rimbano e Vavassori circondano Chinaglia,
lui si difende, finché interviene Wilson, i napoletani hanno la
peggio. Si odono minacce, parolacce, insulti. Juliano allontana
i suoi ma prima che la porta dello spogliatoio si chiuda, si sente qualcuno
minacciare Chinaglia un’ultima volta: «al ritorno faremo i conti».
Gonella non ha visto nulla, o forse, ha semplicemente scelto di guardare
altrove: la “questione Napoli” sembra archiviata in modo
definitivo. A sera, le nubi del pomeriggio hanno lasciato spazio ad un cielo
biancazzurro carico di stelle e di sogni: è finito il girone d'andata, siamo al
secondo posto, ad un solo punto da Milan e Juventus. Sei mesi prima eravamo in
Serie B.
Quella Lazio, in 73
anni di storia, aveva conquistato solo un trofeo, la Coppa Italia, quella del
1958. In quei giorni elettrici c’era felicità nell’aria, era il nostro
“Sabato del villaggio”.
Ci avviamo al
prossimo Lazio Napoli con ben altro spirito. C’è delusione per uno stadio che
resterà semivuoto, a causa di una squalifica dei tre settori Nord, comminata
all’indomani del vittorioso derby di Coppa e confermata in settimana dal
giudice sportivo. Come sottofondo, la malinconia per un Calcio che sta
scomparendo, quello degli Anni Settanta, il tempo in cui “i
calciatori avevano la faccia da calciatori”.
Molti dei Ventidue che
quella domenica scesero in campo, oggi non ci sono più. Sono Altrove, insieme a
due amici che ci hanno salutato in questa triste settimana:
l’inarrivabile Gigi Riva e il nostro “rivale”, in tutte le
stracittadine disputate tra il 1976 e il 1978, Giuliano Musiello.
Li ricordiamo tutti, con affetto infinito. Forza Lazio!
Ugo Pericoli