Cari
fratelli Laziali,
si ritorna a
Firenze forti del quarto posto in classifica. Con la Cremonese e con lo Spezia
abbiamo visto una squadra finalmente umile. Se mai arriveremo tra le
prime cinque molto dipenderà da questo atteggiamento. La concorrenza è
agguerrita: il Milan e soprattutto l’Inter ritorneranno a correre forte, per
tacere della Juventus attualmente fuori dai radar. Ci sarà la sosta,
lunghissima ed inedita, che tra qualche settimana interromperà l’inerzia iniziata
nel torrido agosto per lasciar spazio ai Mondiali d’inverno, in cui non ci
saremo. Sarà fondamentale conquistare sempre i tre punti contro le
antagoniste più abbordabili. Il Napoli? Non ci pensiamo proprio. Restiamo umili
e pensiamo alla trasferta di lunedì sera.
In vista di
questa nuova sfida, riportiamo le lancette alle ore 15 del 7 febbraio 1993.
Siamo a
Firenze per incontrare la Viola. È la diciannovesima giornata, la Fiorentina è
una squadra ben attrezzata, può contare su un fuoriclasse conclamato e su un
“fratello d’arte” dallo sguardo belloccio. È allenata da un allenatore loquace,
si chiama Aldo Agroppi. Questa la formazione anti-Lazio: Mannini, Carnasciali,
Carobbi, Di Mauro, Faccenda, Luppi, Effenberg, Brian Laudrup, Batistuta,
Orlando e Baiano. A bilanciare l’estroversione di Agroppi, la misura e la riservatezza
di uno come Dino Zoff. Si accomoda in panchina, dopo aver ricevuto gli
applausi anche del pubblico di Firenze. Niente male, per essere un ex
juventino. La sua Lazio è questa: Orsi, Luzardi, Bacci, Sclosa, Gregucci,
Bergodi, Fuser, Winter, Riedle, Gascoigne e Signori.
Sergio
Cragnotti è arrivato
da poco, Alessandro Nesta è ancora ben lungi dal diventare quel difensore
monstre che avremmo conosciuto anni dopo e, tanto per cambiare, la Lazio è
considerata una splendida incompiuta. Perché, anche nel 1993, il suo reparto
difensivo è ritenuto assai scarso. Metteteci che i tre più forti del
reparto - Bonomi, Favalli e Cravero non sono arruolabili e che all'ultimo
momento si è infortunato anche il fido Gigi Corino, spetta a mister Dino
Zoff il compito di tracciare la quadra. Così ridisegna la difesa con il
materiale a disposizione, raccomandando ai centrocampisti prudenza massima davanti
alla linea di difesa.
Dino ha
catechizzato tutti eccetto uno. Diciamo che non ha avuto scelta, perché quell’uno è Paul
Gascoigne, ritratto nella foto. Nei primi dieci minuti, infatti, si vede solo lui: libero da
compiti di marcatura, può presidiare le zone che vuole e fare quei giochetti
che ogni tanto gli riescono bene. Peccato che i suoi compagni siano
letteralmente ingessati dal centrocampo in giù. Passa una mezz’ora buona e Batistuta
si ricorda di essere un goleador di razza: bella deviazione di testa che
consente a Nando Orsi di far vedere a tutti quant’è bravo, arrivando in volo per
togliere dal sette il pallone velenosissimo colpito dall’argentino.
Aldo Agroppi
ha problemi con la squadra. Fortemente voluto dalla presidenza Cecchi Gori, sta stentando a trovare
continuità. La sua Fiorentina sembra però essersi ritrovata proprio contro di
noi. Allora Zoff si alza dalla panchina e con una gestualità composta, richiama
sia Winter che Fuser, chiedendo loro un maggiore sostegno ai compagni in
difficoltà. Sulle tribune siamo in tanti a vedere i sorci verdi. Siamo arrivati
a Firenze alle 11, abbiamo fatto una passeggiata in centro con i baristi che ci
sfottono, minacciandoci con lo spauracchio di una doppietta del loro Batistuta.
Al margine destro della Curva Ferrovia, prendiamo atto di non aver mai visto
i nostri tirare seriamente in porta. Beppe Signori non sembra al meglio. A loro
invece le occasioni non sono mancate. Hanno già sfiorato due volte il gol. Ci
servirebbe una scossa.
I dieci
minuti finali sono un supplizio, la Fiorentina manca tre occasioni, ci salvano
Orsi e due legni della porta. Finalmente
si rientra negli spogliatoi. Sugli spalti i tifosi viola si sentono sicuri del
fatto loro e ci sberleffano durante l’intervallo.
Dopo una
decina di minuti il primo a rientrare è Aron Winter. A testa bassa, lo sguardo serio,
quasi accigliato. Poi ecco Beppe-gol, si soffia sul ciuffo di capelli, un gesto
tanto spontaneo quanto sbarazzino, mentre cammina intorno al cerchio di
centrocampo. Pronti-via, è un’altra Lazio. Winter parte di slancio, a testa
alta. L’ultimo eroe della banda dei -9, Angelo Gregucci, effettua un
affondo per vie centrali porgendo un assist al bacio per Beppe Signori. Un
tiro secco, potente e nemmeno troppo bello da vedere, che è sufficiente per
superare Mannini. È il tredicesimo del secondo tempo, manca più di mezz’ora
alla fine e siamo in vantaggio. La Viola reagisce ma lo fa male. Batistuta non
ne indovina una, Brian Laudrup non ha la visione di gioco del fratello Michael.
Tuttavia, la Fiorentina sta giocando con un uomo in più. Ma come, direte voi,
che è successo? È successo che Paul Gazza Gascoigne – ritratto
nella foto con la splendida maglia del campionato 1992/93 - si è nascosto per
tutta la ripresa. Ha trotterellato, ha provato sì, ma sempre dando
l’impressione di viaggiare col freno a mano tirato. Improvvisamente si desta, ha
una scossa che ne accende la creatività: è l’89° minuto, in scioltezza
recupera un pallone vagante e serve Fuser. Diego è un ragazzo concreto, uno che
arriva sempre a meta quando ne ha l’occasione. Nemmeno stavolta la sprecherà: 0
a 2, un raddoppio nel finale che per noi profuma di promozione (e d’Europa)
mentre per la Fiorentina è un crollo. Uscirà subissata dai fischi.
Lasciammo lo
stadio felici, una breve fila per due panini con la salsiccia e ci avviammo
alla stazione per prendere l’intercity delle 20 proveniente da Milano centrale.
Una volta a casa ritrovammo la stessa posizione di classifica, la terza. Non ci
pareva vero di poter finalmente nominare la parola fatidica: Coppa Uefa.
A quei tempi era come arrivare in Champions, e a noi non succedeva dal
campionato 1976-77.
Perché ci
piacque così tanto la Lazio di quella stagione? Per quanto ancora “incompiuta” ed
effettivamente non al meglio dal punto di vista tecnico, era lo specchio
riflesso del suo allenatore. Gazza a parte, ché costituiva un unicum nel suo
genere, la squadra aveva un atteggiamento sempre umile e concentrato come Dino
Zoff. Chiamatela applicazione, chiamatelo basso profilo, fatto sta che quella
Lazio fu la rivelazione del campionato insieme al Cagliari e tornò a
riveder le stelle dopo 16 anni.
Oggi l’obiettivo dichiarato è ancora l’Europa, con la differenza che in una coppa europea ci stiamo già giocando. A proposito, prima della partita con la Fiorentina, sapremo se l’indigestione presa a Midtjylland è stata smaltita e superata. Forza Lazio!
Ugo Pericoli