Cari fratelli Laziali,

durante e dopo Lazio Salernitana abbiamo rivisto il brutto film dell’anno scorso. Con qualche novità in più. L’astio verso Sarri, la ricerca di un singolo episodio da usare come prova da parte di falsi moralizzatori in un sistema veramente malato. Siamo tra quelli che sostengono che gli “indebitati del pallone” godono di un trattamento di favore da parte del “Sistema Calcio” che vede i principali stakeholders ansiosi di ridurre la loro posizione creditoria. Un sistema che premia solo chi investe di più e non importa se lo faccia male, purché il denaro giri. Claudio Lotito spende assai meno delle squadre maggiormente esposte ottenendo (spesso) risultati più che egregi. Inoltre, il gioco della Lazio (e i 4 a 0 consecutivi), avevano messo in agitazione più di un soggetto, specie qui a Roma. Ecco perché il passo falso contro la Salernitana è stato accolto con grida di giubilo mentre il modesto gioco della asroma (vedi quello espresso a Verona), salutato come una ennesima impresa. Ed ecco perché ci indigniamo per quel giallo in chiave anti-Lazio sventolato a Sergej Milinković-Savić: perché è un atto premeditato. Non si spiegherebbe altrimenti la mancata espulsione del serbo dopo le parole pronunciate a Manganiello: “non aspettavi altro…”. In sostanza, Milinković gli ha dato del corrotto e lui non lo ha espulso.

Dovremo cercare di trasformare la frustrazione in energia positiva, ed essere consapevoli che contro la Salernitana abbiamo giocato male e che la sconfitta ce la siamo meritata.  

In vista del derby delle diciotto ritorniamo indietro di 27 anni. Anche in quell’occasione non arrivavamo nelle migliori condizioni psicofisiche. È domenica 23 aprile 1995, siamo nel pieno di un lungo ponte. C’è da giocare un derby cercando di limitare i danni. La Roma ci sta davanti e all’andata è finita malissimo. È la Lazio targata Cragnotti che sta ancora prendendo forma, Zdeněk Zeman la sta plasmando a sua immagine e non sempre i suoi “atteggiamenti motivazionali” trovano riscontro tra i tifosi. Soprattutto quando sostiene che il Derby è una partita come tutte le altre.

La Roma è allenata da Carletto Mazzone e il “sor Magara”, lui sì che sa soffiare sul fuoco della passione. Manda in campo Cervone, Aldair, Lanna, Statuto, Petruzzi, Carboni, Moriero, Piacentini, Balbo, Giannini e Totti. In panchina si porta Lorieri, Annoni, Cappioli, Benedetti e Maini.

Zeman può schierare la sua formazione migliore: Marchegiani, Negro, Nesta, Di Matteo, Bergodi, Chamot, Rambaudi, Fuser, Casiraghi, Venturin e Signori. In panchina ci sono Orsi, Cravero, Colucci, Di Vaio e un arrossato Paul Gascoigne.

Dicevamo che arrivavamo molto male alla stracittadina. Un po’ per la cronica discontinuità e vuoi per alcuni equivoci tattici difesivi (non sempre Chamot si dimostra inappuntabile nel ruolo di tornante), albergano in noi foschi presagi. Nessuno ha dimenticato il derby d’andata, con noi addirittura pronosticati per lo scudetto: il 27 novembre 1994, i giallorossi guidati da Carlo Mazzone ci hanno fatto la festa, un 3 a 0 con i gol di Balbo, Cappioli e Fonseca.

Ci sono 74.000 persone sulle tribune, la Roma è terza con quattro punti di vantaggio su di noi.

Perfino Zeman ha dovuto rivedere le sue posizioni. Per quanto ortodosso possa essere il suo credo, invece del classico 4-3-3 quel giorno disegna un più prudente 4-5-1. Nella prima mezz’ora quasi non si gioca: i contendenti hanno scelto di distruggere il gioco anziché provare a costruirlo. Non ci sono tiri in porta, solo scaramucce e tiritere a centrocampo. Alla mezz’ora, sotto la curva sud lato Monte Mario, Fuser si appresta a battere un calcio d’angolo. Al suo cross Cervone esce a vuoto, ne approfitta Cristiano Bergodi che con una rovesciata la rimette in mezzo: sulla traiettoria c’è Casiraghi che la intercetta e ancora di rovesciata segna il gol dell’esaltante 0 a 1. Il primo tempo finisce qui, tendiamo ad addormentare il gioco (non sempre ineccepibilmente) e la Roma appare oltremodo imprecisa. 

 

Nella ripresa Mazzone prova a rincorrere il pareggio, inserendo il più “cattivo” Cappioli al posto dell’assopito Piacentini. Noi, già iper-prudenti, giochiamo solo di rimessa. La Roma mantiene il pallino del gioco con un possesso sterile. Più il tempo passa, più i nostri avversari si innervosiscono. A venti dalla fine Giannini, che ha provato a costruire manovre d’attacco partendo molto spesso spalle alla porta, commette un fallo di frustrazione e Amendolia non può fare a meno di espellerlo. Con un uomo in più e una tranquillità ritrovata, anche la Nord inizia a cantare inni propiziatori alla vittoria. Canti che diventano boati, quando Moriero indirizza un retropassaggio maldestro verso Aldair, e il casco d’oro di Beppe Signori prende il largo nel più classico dei contrattacchi nelle praterie giallorosse sguarnite. Passaggio millimetrico a Casiraghi, Pi-Gi è atterrato da Cervone in modo plateale: è calcio di rigore. In curva ci tremano le gambe ma dal dischetto Beppe Gol sembra possedere nervi di ghiaccio. Finta, Cervone spiazzato, corsa sotto la Curva Nord, via la maglietta, nell’esultanza fuori ordinanza: Beppe si arrampica sulle vetrate davanti ai tifosi e vi resta appeso quasi un minuto. Sopra di due reti e con un uomo in più, Zeman richiama Signori per dare spazio a Gascoigne, osannato a gran voce da tutto lo stadio laziale.

Terminerà 0 a 2, grazie ai gol di Casiraghi e Signori, ritratti di spalle nella foto-articolo, un derby che resterà tra i più amati di sempre. Perché vi arrivammo come cani bastonati e trionfammo giocando bene la partita sul piano nervoso. Ritrovammo la calma e la consapevolezza perduta e alla fine di quel campionato ci classificammo secondi alle spalle della Juventus, 6 punti insieme al Parma, grazie ad un finale di campionato fatto di 6 vittorie e un pareggio. La Roma si classificò quinta. Con le regole di oggi, per noi sarebbe stata Champions, per la Roma Europa League.  Possa concludersi così sia il derby che il campionato in corso. Forza Lazio!

Ugo Pericoli