Cari fratelli laziali,

le Lazio di cui ci piace parlarvi sono fatte di momenti magici. Situazioni, storie di uomini, incroci di destini non sempre favorevoli, ma comunque assai più appassionanti di quelle figurine pallide e sbiadite intraviste nell’ultimo Lazio-Empoli. Oggi vogliamo riportarvi a domenica 23 ottobre 1977, quando volammo a Milano per incontrare l’Inter.

Abbiamo il morale a mille essendo reduci da una delle più belle vittorie della nostra storia: la domenica precedente, in un Olimpico dove non sarebbe più entrato neanche uno spillo, abbiamo sconfitto la Juventus per 3 a 0. Bruno Giordano è ufficialmente diventato Bruno-Gol, un Cruijff che parla soltanto il trasteverino ma non per questo non potrebbe giocare nell’Ajax o nel Barcellona. Ha segnato due gol fantastici. Il secondo – quello del 3 a 0 – è una giocata che riesce solo una ogni cinquant’anni. Per questo scendiamo in campo gasatissimi. Fa già abbastanza freddo a San Siro e c’è una nebbiolina rivelatrice della lontananza da Roma. Luis Vinicio ha uno sguardo imperscrutabile, sembra il personaggio di un film di Glauber Rocha e pensa che la sua Lazio sia una specie di Repubblica dell'Eldorado. È elegantissimo nella sua giacca a quadri quando siede in panchina accanto al dottor Ziaco. Con loro ci sono Avagliano, Lopez e Pighin, più i massaggiatori. Tutti vestono quella tuta romantica, tra l’azzurro ed il blu, quell’indimenticabile divisa con la scritta di cotone bianco cucita a mano sul pettorale sinistro: S.S. LAZIO.       

L’undici titolare (nella foto l'undici titolare di quella Lazio) veste la maglia che ci ha fatto innamorare e che vorremmo venisse utilizzata anche domenica sera.

Anche l’Inter dispone di una maglia bellissima. Sono dei nobili un po’ decaduti, non vincono trofei da un bel pezzo ma mostrano orgogliosamente il simbolo di una stella, molto vistosa e dalle punte smussate, una forgia che la rende simile ad una vera stella marina: Bordon, Bini, Fedele, Beppe Baresi, Canuti, Facchetti, Oriali, Marini, Anastasi, Merlo e Altobelli. Li allena Eugenio Bersellini, la cui modesta carriera da giocatore ne ha forgiato un carattere che fa della costanza nell’impegno la componente più importante. Insieme a lui, in panchina, vanno Cipollini, il promettente Muraro e il già esperto Scanziani.

Noi rispondiamo con una formazione improntata sul rinnovamento e su una grande scommessa: abbiamo cambiato portiere. Non c’è più Pulici, che dello scudetto fu un simbolo, l’uomo Felix di una Lazio splendida e irripetibile. Questa la nostra formazione, che è seconda in classifica ma dietro alla Roma avanti di un punto: Garella, Ammoniaci, Ghedin, Wilson, Manfredonia, Cordova, Garlaschelli, Agostinelli, Giordano, D'Amico e Badiani.

Dopo nemmeno cinque minuti ci rendiamo conto che non sarà una faccenda semplice. La condizione mostrata contro la Juventus ci appare molto lontana e subiamo il gioco degli avversari. Il centrocampo dell’Inter svaria a piacimento, Oriali è un metronomo ed è ben supportato sia da Merlo che da Facchetti, che oggi pomeriggio sembra libero da compiti difensivi. Restiamo chiusi in difesa, se vogliamo, anche in modo ordinato. Perfino Garella appare più convinto dei propri mezzi. Non è un bellissimo primo tempo, le azioni non sembrano particolarmente orchestrate ma l’Inter appare meno attendista. Al minuto 37 gli interisti impostano un’azione corale, partendo dalla linea di centrocampo con Canuti, facendo salire il gioco e il baricentro dell’azione sul lungolinea di sinistra, c’è un cross, tagliatissimo e molto preciso, fatto su misura per la testa di Altobelli. Da lì, Spillo non può sbagliare, è la sua posizione. L’Inter ha illuminato San Siro con una giocata di quaranta secondi nella quale non ci hanno fatto toccare palla. Hanno tanti campioni, come un ex juventino dallo sguardo sveglio e un po’ malinconico, figlio di una semplicità e di una concretezza contadina che è ormai praticamente estinta: si chiama Pietro Anastasi e oggi sembra in vena di prodezze. Proprio da una sua prolungata giocata sulla fascia, nasce l’occasione per Oriali di realizzare il raddoppio. Ma il futuro Lele nazionale s’impappina sul più bello quando vede Garella, il nostro portiere con il casco dei capelli incollato alla testa, come se fosse bloccato da un nastro di plastica, simile a quello che su usa per avvolgere la testa delle bambole quando sono dentro le scatole. Rientriamo negli spogliatoi sull’1 a 0. Per fortuna a Roma il Milan ha pareggiato il gol di Chinellato, ha segnato Bigon. Mal che ci andrà, il giorno dopo potremo andare in classe e tener botta ai cuginastri. Sono le tre e mezzo di pomeriggio quando i Laziali rientrano in campo. Quasi non ci si vede più. La foschia sta prendendo il largo ma a risentirne sembra di più la manovra dell’Inter. Niente di straordinario intendiamoci, nulla che possa far sorridere il tenebroso Vinicio, che vorrebbe infondere alla sua Lazio la propensione ad avanzare, invece, per prendendo il possesso del centrocampo non riusciamo mai ad essere pericolosi. Non un tiro in porta, nonostante davanti tu abbia gente come Giordano D’Amico e Garlaschelli. A tre-quarti di gara Merlo sembra essere in pace col mondo e se va a farfalle, quasi si è scordato di stare giocando la quinta di Campionato; perde stupidamente un pallone: D’Amico scatta leggero lungo l’out di destra lasciando partire un traversone bello per davvero. Renzo Garlaschelli sa fare bene due cose: sa sia dribblare che farsi trovare al posto giusto quando serve. Vola altissimo ed incorna un gol vecchia maniera, nato da una giocata alta, una testata violenta che sembra riservata esclusivamente a cristoni come Vieri o Ibrahimović. Ci ritroviamo miracolati sull’ 1 a 1, e che facciamo? Facile, tutti dietro a coprire. Cordova, Agostinelli, Badiani, dove siete? Perché vi nascondete mentre Baresi avanza? Non è bello per un centrocampista rinculare sul terzino che incalza, ma Baresi non dovrebbe effettuare un crosso così disinvoltamente. Invece il cross arriva ad Anastasi, ma lui gira in semi-rovesciata mandando il pallone nell'angolino alto alla sinistra di Garella. Vinicio sembra un Preside che tenta di convincere i suoi studenti a risalire sul pullman, si agita davanti alla panchina con fare severo, ma senza risultati: passano cinque minuti e nuovamente Anastasi spara un sinistro da circa venti metri. Garella compie una grande parata, una prodezza che gli avremmo visto ripetere spesso sia nel Napoli che nel Verona. Detto senza malignità, con noi fu un mezzo bluff: certo, non era semplice sostituire uno come Felice Pulici, che non era un giocatore della Lazio soltanto, era forse la Lazio stessa. Garella, con un balzo prodigioso e ancora con un intervento altrettanto fulmineo, risolve la questione deviando in corner. In lui ha creduto soltanto Luis Vinicio: il calcio ha i suoi misteri e non possiamo indagare oltre.

Giocammo male, tirammo in porta solo in occasione del gol ma fu comunque una domenica perfetta. Perché mancavano pochi minuti alla fine quando Enrico Ameri interruppe il collega che stava parlando: Fabio Capello aveva portato il Milan in vantaggio e il nostro pomeriggio prese subito un altro sapore.

Domenica sera la sconfitta della Roma a San Siro non ha fatto altro che acuire il rimpianto per l’ennesima occasione perduta.

Tra partite a rischio rinvio e numeri catastrofici sotto il profilo sanitario, è già un mezzo miracolo poter parlare di Calcio. Forza Lazio!

Ugo Pericoli