Cari fratelli Laziali,
se la Lazio dovesse inanellare una serie di prestazioni come
quella di lunedì sera col Milan, tra un mese potremmo brindare alla conquista
di un piazzamento molto importante. Non faremo tabelle, un po’ perché non ne
siamo capaci, ma soprattutto perché nel Calcio non esiste (oppure non può
applicarsi) la proprietà transitiva. Tuttavia, dando per scontato i piazzamenti
in zona Champions di Inter, Atalanta e Napoli (non necessariamente con
quest’ordine di arrivo), Juventus e Milan dovranno lottare fino alla fine per
staccare il visto per il torneo più remunerativo a livello continentale. E la
nostra Lazietta? Il recupero con il Torino non sarà certo una passeggiata, per
motivi sia psicologici che ambientali. C’è poco da fare i conti, dovremo
provare a vincerle tutte. Anche il derby, certo. Sono tutte finali, sono
partite alla Lulic! Menzione speciale per l’eroe del 26 maggio: potrebbero
essere le sue ultime partite da giocatore, eppure, avete visto che impegno e
che gamba? Avete notato come cambiano le cose quando c’è lui a scendere lungo
la fascia? Avremo un’arma in più da sfruttare nelle prossime sei finali. A
cominciare dalla prossima, quando dovremo posticipare il pranzetto domenicale per
seguire Lazio Genoa.
Per l’amarcord di questa settimana vi porteremo ad una Lazio (ritratta nella foto) di 37 anni fa, ad una domenica in cui, oggi come ieri, non avevamo altro
risultato utile se non la vittoria. Pensate, era solo al 18° giornata, eravamo
a fine gennaio, solo la terza di ritorno, ma per come si erano messe le cose
tra Natale e Capodanno c’era ben poco da stare allegri.
Bentornati a domenica 29 gennaio 1984! Siamo terzultimi in
classifica e dobbiamo battere assolutamente una diretta concorrente nella
lotta-salvezza.
Paolo Carosi è un cuore di Lazio, e quel giorno gli mancano
parecchi titolari. Schiera il meglio di cui può disporre: Orsi, Filisetti,
Spinozzi, Vinazzani, Piscedda, Podavini, D'Amico, Manfredonia, Meluso, Laudrup
e Marini. In panchina porta con sé il (degradato) portiere Cacciatori, poi Miele,
il compianto Angelo Cupini, Piraccini e Mario Piga.
Sulla panchina avversaria è seduto un allenatore che è
passato per Tor di Quinto nel momento più sbagliato della sua vita, incappando
nel campionato di serie B 1980-81. Gigi Simoni si accomoda sulla sua panchina
dopo aver stretto cavallerescamente la mano a Carosi. Una bella scena, in una
domenica in cui si incroceranno molte lame. Il Grifone è questo qui: Martina,
Canuti, Testoni, Faccenda, Romano, Policano, Bergamaschi, Mileti, Antonelli,
Bosetti, Benedetti e Briaschi. In panchina vanno l’esperto Favaro, l’imberbe Eranio,
Eloi e Zannino.
La partita inizia in un clima di malcelata calma. Molti i passaggi
orizzontali tra i nostri difensori e i centrocampisti. Si sente la mancanza di
Manfredonia sulla linea della mediana. Data l’indisponibilità del lungodegente
Giordano, Carosi gli affidato compiti molto più offensivi. Orsi è chiamato
spesso in causa dai compagni, che gli ritornano palloni sui quali preferiscono
non rischiare il dribbling. Ed infatti, a seguito di questa prolungata
indecisione, gli uomini di Simoni al 10’ colpiscono una traversa con Policano, e
dopo soli 120’’ è Marini a salvare sulla linea un gol praticamente fatto, dopo
che Mileti aveva scagliato a botta sicura. Sul prolungamento dell’azione, ancora
un miracoloso intervento di Orsi, uscito alla disperata sul numero 10 Benedetti.
Un primo tempo versione horror che si conclude con l’unico esito possibile.
Genoa in vantaggio a seguito del gol di Mileti, il quale - a cinque minuti dal
riposo – aveva chiuso mirabilmente il triangolo volante avviato da Canuti e Briaschi.
Il tiro del numero otto rossoblu è un autentico bolide, impossibile da deviare anche
per il bel volo di Orsi. Insomma, il manovriero Genoa si trova meritatamente in
vantaggio mente noi, che abbiamo giocato col freno a mano tirato, a fine primo
tempo siamo virtualmente in Serie B.
L’intervallo è un mezzo supplizio, i poveri bibitari
faticheranno non poco ad alzare la paghetta, perché la gente laziale è
sconsolata e con ben poca voglia di bere e di scherzare.
Si ricomincia. Carosi ha dato una strigliata ai suoi, ricordando loro che occorre avere una mentalità “umile” per poter combattere nei bassifondi della classifica. Vedemmo finalmente una Lazio più vivace e una partita con continui ribaltamenti di fronte, a tratti anche discreta sul piano tecnico. Noi però, contrariamente al Genoa che appariva più equilibrato e coeso, mostravamo un certo squilibrio fra i singoli: si riproponeva ancora una volta il grave handicap costituito dall'assenza di Giordano. Le due Curve (avete letto bene, negli anni della presidenza Chinaglia anche la Sud aveva il suo “muretto” di Ultras, animato da un rumorosissimo gruppo, la “Gioventù Sudista”) ripresero coraggio, incoraggiando i giocatori a lanciarsi in avanti. Manfredonia era ormai il centravanti aggiunto (“falso nueve” proprio non riusciamo a scriverlo) che trovava nelle veloci incursioni di Laudrup e Podavini i compagni più assidui per i suoi tentativi offensivi. Come sappiamo, i problemi erano davanti: Meluso era troppo leggero per poter assolvere a compiti da centravanti e non trovava supporto in D'Amico, vittima di una giornata di luna storta. Laudrup faceva a sportellate con i difensori e i centrocampisti genoani, costringendo questi ultimi a frequenti ripiegamenti. Ad un certo punto, verso il quarto d’ora del secondo tempo, il Genoa rallenta vistosamente il ritmo che aveva tenuto fino a quel momento. Siamo intorno al 57': D'Amico batte una punizione dalla sinistra, Benedetti “cicca” di testa favorendo Manfredonia appostato alle spalle. Lionello, che per una vita ha fatto lo stopper, scopre di possedere una vena da killer da area di rigore, scagliando una castagna fra palo e portiere: 1 a 1, un pari davvero insperato! I Grifoni accusano il colpo e la rabbia per aver incassato una rete evitabilissima li fa disunire ancora di più. Passano altri quindici minuti nei quali non corriamo alcun rischio ma – allo stesso tempo – non facciamo nemmeno un tiro in porta. Al 68' la dea bendata decide di correre nuovamente in nostro soccorso. C’è Manfredonia che si sta portando avanti per l’ennesima volta, ma è solo ed isolato. Entra in area, tra i piedi ha un pallone difficilmente giocabile. Benedetti, con un intervento di un’ingenuità cosmica, lo falcia platealmente sotto gli occhi di D'Elia.
L’arbitro salernitano
assegna il calcio di rigore ma i genoani non ci stanno e reclamano animosamente
per più di un minuto. Un tempo che ci sembra infinito, e qualcuno tra noi volge
le spalle al campo per la paura di dover assistere ad un errore fatale. Perfino
Laudrup, mentre Vincenzo si sistema il pallone sul dischetto, accenna a voler
chiudere gli occhi, poi si riprende immediatamente preparandosi ad un’eventuale
ribattuta. L’abulico D'Amico di quel pomeriggio, dal dischetto non tradirà! Il
suo tiro s’infila di precisione facendo esplodere i quarantacinquemila
dell’Olimpico in un urlo liberatorio. I rossoblu si lanciano in avanti tentando
di raddrizzare una partita che li aveva visti a lungo in vantaggio. Invano,
perché manca poco, ed anche perché Manfredonia, assolti brillantemente i
compiti da uomo d’attacco, torna a posizionarsi davanti alla difesa dove
Filisetti Spinozzi e Piscedda si sentono finalmente più assistiti. Ricordiamo di
aver registrato non più di due tiri indirizzati verso Martina in tutti i 90
minuti, oltre al rigore di D’Amico. Pensate all’inconsistenza del nostro
attacco in quella stagione! Ci ritornano in mente altre belle cose: uno smilzo
Giampiero Galeazzi intento ad intervistare Giorgione, un Chinaglia ancora inibito
per via dell’ombrello brandito a Menicucci al termine di Lazio Udinese, confuso
e tremante per l’esito del risultato ancora in bilico. Una bella intervista,
un’estemporanea dal grande valore emotivo. Un bel momento, vero e spontaneo,
non costruito, come alcuni bluff giornalistici figli dello straricco calcio di
oggi. Galeazzi intercettò Giorgione appena fuori dal tunnel degli spogliatoi
sotto la Curva Sud, un luogo dal quale Long John nel decennio precedente, aveva
mostrato ben altra spavalderia! A pochi passi da loro, anche i baffi dell’indimenticabile
Gianni Elsner, un altro grande laziale che ci fa piacere ricordare nella nostra
rubrica. Piccoli e grandi miracoli di un Calcio che fu, dove non c’era bisogno
di “immergersi” - assecondando il delirio narcisistico di un telecronista del
Calcio moderno” - per comprendere che aria tirasse in campo.
Non sappiamo l’effetto che fa su di voi, ma quando sentiamo gli
uomini Sky disquisire su un presunto fallo di Leiva, dopo aver “colto” negli
stessi commentatori un atteggiamento a dir poco pilatesco durante (e dopo)
Napoli Lazio, ci viene davvero la voglia di “immergerci” nella nostra
Lazialità, per non dover continuare a subire un sequel di idiozie che hanno
l’unico fine di sminuire il valore di una nostra importante vittoria.
Avanti Laziali, non è tempo di fermarci, soprattutto questa domenica.
Forza Lazio!
Ugo Pericoli