Cari fratelli Laziali,
per qualcuno la vittoria sulla Fiorentina ha rappresentato
un semplice brodino ma noi invece vi diciamo che si è trattato di una vittoria
difficile ottenuta su un avversario che, al momento, ha i numeri in classifica
sovrapponibili ai nostri. La prossima sarà contro una squadra ormai pronta al
decollo, la solita Atalanta che come d’abitudine, compie il rodaggio in Europa
per poi lanciare lo sprint in campionato.
Con l’Atalanta spesso le abbiamo prese. Siamo sì la quarta
squadra italiana per titoli vinti ma con gli Orobici abbiamo spesso rimediato
sganassoni, specialmente a Bergamo.
Oggi torniamo indietro, ad un tempo fatto di panini con la frittata,
di lattine di coca ben nascoste in fondo alla tolfa per sfuggire al
controllo ai cancelli, a trasferte lunghissime con l’amico di sempre iniziate
la sera prima: al 2 gennaio 1983 e alla Lazio in B! Era la 16a giornata e stava
terminando il girone d’andata del campionato di Serie B 1982-83.
L’Atalanta è guidata da un giovane allenato destinato a fare
una lunga carriera nel ventennio a venire. Ottavio Bianchi schiera Benevelli,
Rossi, Magnocavallo, Snidaro, Filisetti, Perico, Agostinelli, Magrin, nonno
Savoldi, Moro e Mutti. In panchina si porta Bordoni, Codogno, Madonna, Pacione
e un riccioletto di belle speranze che risponde al nome di Roberto Donadoni.
È la Lazio di Gian Casoni, ossia la bellezza del
romanticismo applicata al Calcio, il quale l’ha affidata alle cure tecniche
di Roberto Clagluna. Questi è un distinto signore che sembra provenire da
un'altra galassia. Non ricorda per nulla un allenatore di calcio, ha il volto
che sembra uscito da un film poliziottesco di fine anni Settanta, somiglia ad un
impiegato normale chiamato a svolgere un lavoro normale, seduto alla scrivania,
giacche a quadri, cravattoni e pantaloni vagamente ascellari. E invece fa
l’allenatore della Lazio. Manda in campo Nando Orsi, Podavini, Saltarelli,
Vella, Miele, Perrone, Ambu, Manfredonia, Giordano, D'Amico, Badiani. Con lui
lo sfortunato portiere Moscatelli, De Nadai, Tavola, Pochesci e il povero
Stefano Chiodi.
È il secondo giorno del 1983 e a Bergamo fa un freddo becco.
L'Atalanta è da tempo candidata alla Serie C ma ci mette subito in ambasce. Noi
siamo primi in classifica e solo il Milan, altra nobile decaduta, sembra essere
forte quanto noi. L’Atalanta parte ad un ritmo impossibile, come se durante le
feste natalizie non avessero toccato una fetta di panettone e si fosse allenata
a giocare in mezzo alle intemperie. A noi manca Arcadio Socrate
Spinozzi, appiedato per infortunio. Vi ricordate di Giorgio Magnocavallo?
Quello che quando venne acquistato da Giorgio Chinaglia prestò il fianco ad una
feroce barzelletta di matrice romanista:
-Presidente, quando vinceremo lo scudetto?
- Magna-cavallo, che l’erba cresce.
Quel giorno Magnocavallo sembrava Cabrini, fu una spina fastidiosa
e costante. Probabilmente avevamo sottovalutato l’avversario o, molto più
realisticamente, erano le prime avvisaglie di una debolezza insita alla squadra
che era stata ben nascosta dalle vittorie inanellate fino a dicembre. Va detto
che al 3’ Manfredonia era costretto a fermarsi. Si fa male da solo, forse si è
semplicemente scaldato con sufficienza ma adesso è un bel problema sostituirlo.
Gli subentra Tavola, che giocherà bene risultando tra i migliori in campo, ma non
possiede di certo le caratteristiche giuste per avviare il contropiede, il vero
marchio di fabbrica di Lionello Manfredonia.
Senza Manfredonia e con Bruno Giordano francobollato dal
giovane Rossi non riusciamo mai ad essere pericolosi e per tutto il primo tempo
subiamo la vivacità degli atalantini. Per fortuna nonno Savoldi appare arrugginito
e quando sembra trovarsi sul più bello, ecco che cicca puntualmente. Proprio Beppe
Savoldi però sfiora il gol al 43', su azione impostata da Agostinelli e
proseguita da Moro con un cross dalla destra. A tre metri dalla porta ha indovinato
un colpo di tacco velenoso ma sulla linea Renato Miele riesce a sventare l’azione.
Secondo tempo: facciamo capire che puntiamo allo 0-0 quando Clagluna opta per
De Nadai in sostituzione della seconda punta Ambu. Giochiamo solo in
contropiede ma meglio comunque che nell’abulico primo tempo. Al 62' D'Amico riesce
abbastanza fortuitamente a servire Giordano ma questi manca il tap-in vincente per
un immeritato gol-sorpresa: pallone colpito al volo che finisce a lato. Su
quest'occasione mancata si esauriva definitivamente la nostra spinta mentre
l'Atalanta, che nel frattempo aveva mandato negli spogliatoi Savoldi per il
vivacissimo esordiente Pacione, insisteva ancora lì davanti. Contavamo i minuti
come mai ci era successo in quella stagione ed era proprio Pacione al 70' a cercare
di far saltare il banco. Entrava in area dopo uno slalom sulla destra e veniva subito
steso da Saltarelli. Per il signor Paparesta era rigore netto e si avvicinò
fischiando alla mattonella del dischetto.
Dagli undici metri si presenta Mutti e "Bubu" Orsi è
inesorabilmente superato da un tiro rasoterra alla sua destra. Finalmente ci
mettiamo a giocare. Dopo tre minuti, un fallo di Snidaro su De Nadai provoca
una punizione sul settore sinistro a una trentina di metri dalla porta. Bruno tocca
lateralmente per Podavini, ritratto nella foto: questi ha un rapido controllo a seguire, avanza di
un paio di metri e scaglia un gran destro all’incrocio difeso dall’infreddolito
Benevelli.
Manca un quarto d'ora abbondante. Tanto? Poco? Diciamo che per
noi il pareggio era diventato un obiettivo graditissimo, mentre per l'Atalanta
una mezza delusione. Ed infatti, ancora gli atalantini lasciano intendere di
essere gli unici a crederci. Pacione prima (salvataggio in tuffo di Orsi), poi
Mutti (su punizione, nuovamente neutralizzata dal nostro portiere dai capelli a
caschetto) tentano di modificare l'1-1. Invano, fortunatamente per noi.
Oggi la Storia è profondamente mutata, in meglio, per entrambe
le squadre. L’Atalanta non se la vede più con la Cavese e con il Rimini per non
retrocedere in Serie C ma affronta il Real ed il Liverpool in Champions. Noi
abbiamo raccolto, da quel giorno, 15 trofei nazionali e internazionali.
Tuttavia, in noi, non è cambiata la voglia di un pareggio -
perché no? - di un nuovo 1 a 1 proprio come nell’inverno del 1983.
Sapete qual è stato in oltre settant’anni il risultato più
frequente? È stato il pareggio con una rete per parte.
Un risultato che tornerebbe molto comodo e che oggi sottoscriveremmo, per rimanere agganciati al quartetto che ci precede. Forza Lazio!
Ugo Pericoli