Cari fratelli Laziali,

lo scorso fine settimana tutto è andato storto e dunque occorrerà prepararsi a disputare quattro “finali”.

Per il ricordo di oggi vi riportiamo a domenica 14 novembre 1982, quando allo stadio Olimpico venne a farci visita il Lecce.

È la decima giornata e sentiamo di aver imboccato la strada giusta per ritornare in serie A.

Roberto Clagluna dispone di una squadra ben attrezzata, puntualmente ritratta in foto con la favolosa "maglia bandiera", costruita con intelligenza con le poche risorse messe a disposizione da Gian Chiarion Casoni: Orsi, Podavini, Saltarelli, Vella, Pochesci, Perrone, Ambu, Manfredonia, Giordano, D'Amico e De Nadai. Insieme a lui Moscatelli, De Angelis, Spinozzi, Surro e Tavola.

L’allenatore del Lecce è un debuttante di lusso, si chiama Mariolino Corso. Per la sfida con la Lazio ha scelto questa formazione: Vannucci, Lo Russo, Bagnato, Bruno, Pezzella, Miceli, Cianci, Orlandi, Spica, Mileti e Luperto. In panchina vanno De Luca, Ferrante, Serena, Tusino e Rizzo.

Non siamo in tantissimi allo stadio, sebbene ci troviamo al vertice della classifica dopo un filotto di tre vittorie consecutive: partiamo subito in attacco, dove Bruno Giordano è ben assistito da Ambu, da D'Amico e da un Manfredonia nuovamente schierato alla mezz'ala da Clagluna, come la domenica precedente, contro il Palermo. Tuttavia, Giordano sembra aver trovato un marcatore vecchio stampo, un martellatore che alitandogli sul collo vuol provare a fermarlo in ogni modo possibile. È il 15’quando vediamo Giordano mollare un pizzone a Lo Russo. L’arbitro è il signor Angelelli, è arrivato da Terni in mattinata, non se la sente di sventolargli in faccia un rosso diretto. Mario Corso salta in piedi come punto da uno scorpione, reclamando per il rosso mancato mentre noi, in curva, ci guardiamo in faccia sorpresi, da cotanta imprevista magnanimità.

Fuori dallo stadio ci hanno dato un giornaletto gratuito, uno di quelli infarciti di pubblicità di concessionari d’auto, fabbriche di pentole e mobilifici ultraconvenienti. Prima di trasformarlo in copri-seggiolino lo abbiamo sfogliato e vi abbiamo appreso che sarà presente alla partita anche Sergio Brighenti, un importante collaboratore di Enzo Bearzot. È uno del giro della Nazionale, la squadra che, pochi mesi prima, ha trascinato l’Italia intera dentro il sogno di España 82. A tutti noi è sufficiente veder accostato un nostro giocatore alla Nazionale campione del mondo, per esaltarci come si fosse già vinto. In silenzio osserviamo Bruno a capo chino, anche lui sa di aver commesso una fesseria e quando ci rendiamo conto che il cartellino è solo un giallo, tiriamo un sospiro di sollievo. Il “favore” dell’arbitro manda in bestia i leccesi, minandone la sicurezza e facendoli disunire. E infatti, pochi minuti più tardi, al 32', Cianci commette un grossolano fallo in area su Manfredonia. È un fallo ingenuo e nient’affatto cattivo ma l'arbitro indica il dischetto e Giordano fa l’1 a 0. Due minuti più tardi, Pezzella, già ammonito qualche istante prima, rivolge un applauso sarcastico ad Angelelli, che non esita ad espellerlo tra le proteste di tutta la squadra pugliese.

Insomma, nel primo tempo abbiamo fatto solo due tiri in porta incluso il rigore trasformato da Bruno.

Secondo tempo: si fa male Pochesci e Manfredonia deve tornare a fare lo stopper. Lele Podavini, Enrico Vella, Michele De Nadai e Carletto Perrone, sono quelli che appaiono più in forma e prendono per mano la squadra facendola girare al meglio. Dopo cinque minuti, è proprio Vella a lanciare De Nadai lungo la sinistra, cross rasoterra per Ambu, che anticipa tutti con un guizzo alla Bettega e pallone rete: 2 a 0.

La partita non è bella, D’Amico e Giordano appaiono deconcentrati, il Lecce assume il comando del gioco. Una prevalenza territoriale che si nota soprattutto a centrocampo, che dalla curva seguiamo più con un senso di noia che con reale preoccupazione. Nonostante l’inferiorità numerica, il Lecce coraggiosamente continua a macinare azioni su azioni e a un quarto d’ora dalla fine incontra l’occasione per ridurre lo svantaggio: Manfredonia ha atterrato Tusino, ormai lanciato a rete. Inevitabilmente, il signor Angelelli assegna il rigore ma Orsi ipnotizza Mileti sventando il rischio rimonta.  Arriviamo al 79': bolide di Michele De Nadai, Vannucci respinge alla meno peggio, sul pallone vagante piomba Ambu che, come un falco, realizza il gol della tranquillità.

Un 3 a 0 tanto rotondo quanto immeritato che valse il primo posto, seppur in coabitazione con il Milan di Ilario Castagner.

Siamo ormai a quattro turni dal termine. Le prossime partite casalinghe, questo Lazio Lecce e la prossima Lazio-Cremonese, a noi di una certa ricordano terribilmente il Lazio Catania del 5 giugno 1983.

Certo, quella volta si giocava per andare in Serie A mentre qui si gioca per arrivare in Champions ma la sostanza non cambia: sono partite da “o la va o la spacca”, è inutile metterla sul calcolo dei valori tecnici o su sterili considerazioni statistico-tattiche.

La squadra deve vincere mentre noi dobbiamo andare tutti allo stadio. Forza Lazio!

Ugo Pericoli