Cari fratelli Laziali, 

vi diciamo subito che, secondo noi, contro la Samp sono stati due punti buttati al vento.

Detto ciò, vi portiamo indietro al 27 aprile 1980, l’anno che vorremmo cancellare dal nostro calendario. La giocammo con una maglia porta-sfortuna, come vi racconteremo in seguito. 

Il Campionato sta finendo, è la ventottesima giornata e ce l’abbiamo quasi fatta. Vincenzino, anzi Capitan Vincenzo D’Amico, ha preso per mano un manipolo di ragazzi semisconosciuti. Dopo gli arresti di Pescara, in vista dell’arrivò del Napoli, a Bob Lovati non rimane altro che schierare questa formazione: Budoni Piccinini Citterio Perrone Pighin Zucchini Garlaschelli Labonia D’Amico Ferretti e Viola. In panchina vanno in tre: Avagliano, Lopez e Todesco.

Arriva un Napoli dalle prestazioni abuliche: Castellini Bruscolotti Volpecina Bellugi Ferrario Tesser Celestini Improta Speggiorin Musella e Filippi. 

Damiani e l’ex Badiani si siedono in panchina, accanto a Sormani. Del tutto ignari di quanto sta per accadere, siamo già in clima di rinnovamento epocale. Cerchiamo il punto della salvezza sapendo che il Napoli non disdegnerebbe un pari. Gli esperti D’Amico, Garlaschelli e Viola presidiano bene il centrocampo mentre Perrone tiene bene la linea della difesa. Ferretti è l’ennesima conferma che ogni volta che la Lazio è sull’orlo del burrone, arriva uno “stelllone” a proteggerla. Ferretti sarà una meteora, uno degli antidivi di quella Lazio piccola e sfortunata. 

La Lazio, sorretta dal suo “stellone”, trova dentro di se’ una forza sconosciuta e va in gol al minuto 13: merito di Garlaschelli che finalizza una magia di D’Amico. Il Napoli si limita a qualche timida replica. Per un soffio manchiamo tre gol con Zucchini, Garlaschelli e Viola. Mentre pregustiamo il raddoppio, su un cross dalla sinistra, l’esordiente Piccinini alza d’istinto un braccio, colpendo il pallone, in piena area di rigore: dal dischetto Improta fa 1 a 1. Nella ripresa decidiamo di non farci male e - complici i risultati provenienti da tutti gli altri campi - decidiamo che la partita può pure finire così. 

Veniamo a quella maglia. Vi raccontiamo una storia che pochi conoscono. Iniziamo con una domanda: affidereste la realizzazione del simbolo della Lazio ad un tifoso della Roma? Antefatto: l’anno prima la Roma - era l’estate del ‘78 - era stata la prima società ad intuire l’importanza che il marketing avrebbe avuto nel calcio del futuro. Il Presidente di quella Roma, Gaetano Anzalone, decise di avvalersi di un grafico, Pietro Gratton, per realizzare un nuovo logo: nascerà così il lupetto giallorosso che esalterà il potenziale di un marchio che, ancora oggi, è un must have presso i giallorossi di una certa età. 

A quel punto ad Umberto Lenzini non rimase che emularlo. Gli venne consigliato di rivolgersi ad uno specialista e la scelta cadde su un imprenditore emergente: Giacomo Pouchain. Questi aveva intuito la la declinazione “streewear” insita nelle maglie di calcio. Pouchain aveva una sede produttiva nella provincia di Rieti e nonno Umberto commissionò - a lui e al suo grafico di fiducia, Pietro Gratton - una nuova aquila, stilizzata e modaiola. 

Il “romanista” Gratton! Fu proprio lui a disegnare la prima aquila stilizzata della nostra storia, come potete vedere nell’immagine che accompagna l’articolo. Niente da dire sulla bellezza del suo logo. Era talmente “trasversale” che sarebbe stato più funzionale ad una moderna compagnia aerea che alla Lazio. 

Sappiamo che molti tifosi Laziali sono collezionisti di maglie storiche: speriamo non ce ne vogliano i possessori di quelle maglie! Ci limitiamo a dire che quella divisa non portò affatto fortuna e resterà uno dei simboli di quella annata maledetta. Forza Lazio! 

Ugo Pericoli