Cari fratelli Laziali, molto spesso il calcio è lo specchio fedele della nostra esistenza, del nostro vivere quotidiano e gli accadimenti ad esso legato ci aiutano a fissare i ricordi. Certamente, non dimenticheremo facilmente la partita di Bruges, non tanto per il risultato – buono, non c’è che dire – ma per il modo in cui ci siamo avvicinati a questa partita. Abbiamo giocato una partita con mezza squadra titolare assente giustificata per Coronavirus. No, non è calcio. Lo diciamo ora che le cose stanno iniziando ad andare bene, Lazio in ripresa in Campionato e prima nel girone di Champions. È un virus maledetto che odiamo tutti, sentitamente. Proviamo a distrarci con la nostra Lazio, che sta per incontrare un Torino penultimo in classifica, sebbene annoveri tra le sue fila il centravanti titolare (sigh!) della nazionale. Un Toro ben lontano da quello che ci accingiamo a raccontarvi per l’amarcord di questa settimana. Era il 17 dicembre 1978, e per la 12° giornata del Campionato di Serie A 1978/79 sbarcavamo (nella foto la rosa biancoceleste di quella stagione) al Comunale di Torino sponda granata. Quel Torino era una delle squadre più forti d’Italia, uno scudetto e mezzo vinto nel giro di due anni tra il 1976 e il 1977 e noi una compagine che stava lentamente cercando di voltare pagina. Long John era a N.Y ormai da tempo, Tommaso e Luciano non c’erano più. Nanni, Petrelli, Oddi, Frustalupi e Pulici erano stati malamente ceduti nel corso di campagne acquisti francamente discutibili, un patrimonio tecnico dilapidato con una superficialità estrema, in merito alla quale non ne sapremo mai abbastanza. Nuovi eroi stanno però dando lustro alla maglia biancoazzurra, il biondo Agostinelli e il riccioluto Tassotti, ma soprattutto Lionello Manfredonia e Bruno Giordano. I “gemelli” sono al loro terzo campionato, giovanissimi ma già veterani di una Lazio che ti obbliga a crescere in fretta, e purtroppo non senza problemi. Hanno superato, nelle gerarchie tecniche e per esposizione mediatica, anche i vecchi eroi campioni d’Italia, Wilson, Vincenzino, Garlaschelli e Martini, quest’ultimo relegato tra le riserve. Bob Lovati, che li conosce da sempre, è un laziale di lungo corso; ha ereditato la squadra da Luis Vinicio l’anno precedente dandole un gioco piacevole da vedere, nonostante il budget risicatissimo dell’autarchico calcio di allora, improponibile al tempo di oggi. C’è un cielo terso sopra Torino. La vista delle cime alpine è stupefacente, come il freddo che fa, intenso e tagliente. Dal tunnel escono i nostri: Cacciatori, Pighin, Badiani, Wilson, Manfredonia, Cordova, Agostinelli, Totò Lopez, Giordano, Nicoli e D'Amico. In panchina – mezzi assiderati, la torre Cantarutti, Fantini e Tassotti. Bob Lovati, infilato nel suo cappotto cammello, è abbottonato fino al mento quando saluta con contraccambiato garbo l’elegante Gigi Radice, bardato anch’egli per ripararsi dai rigori del dicembre piemontese. C’è nell’aria una piacevole atmosfera natalizia. Si sta chiudendo un anno difficile, uno di quelli in cui il calcio ha dovuto spesso farsi da parte per lasciare spazio ad altri tipi di cronache. Dicevamo di un Toro molto forte. Quel giorno però aveva molte assenze (Danova e soprattutto il Poeta Claudio Sala) e giocava con Terraneo, Salvadori, Vullo, Patrizio Sala, Mozzini, Onofri, Greco, Pecci, Graziani, Zaccarelli e Paolino Pulici. Appena qualche sgroppata sull’erba morta che incredibilmente passiamo in vantaggio. È il 7': Ciccio Cordova interrompe un'azione di Greco poco fuori dell'area e lancia i suoi in contropiede. La palla non è intercettata da nessun torinista e se ne impossessa Agostinelli, colpevolmente ignorato da Salvadori che preferisce marcare D'Amico, rinunciando a chiudere sul nostro numero 8. Agostinelli appoggia facilmente a Giordano che è solo, sebbene sia sul filo del fuorigioco. Terraneo si lancia alla disperata, è riuscito a chiudere lo specchio della porta. L’illuminato Giordano di quegli anni segna quasi ad occhi chiusi, tirando anche da posizioni che sarebbero impossibili per qualsiasi altro centravanti. Scattante come un puma, si allarga sulla sinistra, arrivando quasi sul fondo, a due passi dalla bandierina del calcio d’angolo. Nessuno del Torino è andato a coprire la zona, ritenendo la sua posizione troppo defilata. Colpo di biliardo secco e preciso, un ultimo sguardo con la coda dell’occhio prima di correre verso il centrocampo braccia levate al cielo. Bruno segnò un goal memorabile, uno dei più iconici della sua lunga carriera da laziale. Il Torino riparte subito. Pecci è il metronomo da cui si diramano le manovre granata, ripariamo in difesa correndo parecchi rischi. Al 12’ Cacciatori è impegnato duramente da Zaccarelli ed è costretto al suo caratteristico colpo di reni per sfilare un pallone da sotto la traversa. Poi Salvadori trova spazio per un’insistita azione sulla sinistra e sul suo cross, Greco, in rovesciata, devia addosso a Cacciatori. Wilson è (discutibilmente) ammonito dal signor Terpin per un intervento su Greco. I granata spingono e arrivavano al pareggio. Un cross di Pulici, respinto alla meglio da Wilson, è raccolto da Pecci che al volo passa a Greco, nel cuore dell’area di rigore. Stop a seguire e successivo tocco di sinistro ad anticipare il tentennante Badiani, che arriva solo a sfiorare la sfera, che si insacca beffarda alla destra di Cacciatori. Il pari è più che meritato. Siamo quasi alla mezz’ora quando le cose iniziano a mettersi male. Lungo rilancio di Onofri a pescare Graziani, che dalla sinistra trova spazio per il dribbling e centra basso per Pulici, che liscia malamente il tiro al volo. Sul pallone danzante si avventa Zaccarelli, il cui destro è deviato in angolo dalla nostra difesa. Il rude Vullo spaventa D’Amico con un colpo di karate (fortunatamente tanto fumo e poco arrosto), ma Vincenzino va comunque a sedersi in panchina, abbastanza deluso. Con il baricentro laziale troppo arretrato, il Torino va in vantaggio. Ancora Pecci lancia Greco con un sapiente tocco d'esterno, un colpo ad effetto che disorienta sia Badiani che Wilson, per il 2 a 1 che è una vera e propria doccia fredda. Andiamo quasi in barca, ennesima incertezza della nostra difesa, ma Eraldo Pecci, forse appagato, non è puntuale all’appuntamento col goal. Si rientra negli spogliatoi a testa china, solo Brunetto ostenta la sua sicurezza spavalda mentre dribbla fotografi e cronisti assiepati al sottopassaggio. Alla ripresa i torinisti ci accerchiano. Zaccarelli è servito da Pulici sulla destra ma non sfrutta l’occasione, sul cross successivo si accendeva una mischia da cui nasce l’ennesimo angolo. Sul calcio dalla bandierina, bomba di Patrizio Sala di poco alta. Pulici tenta una sortita per vie centrali ma è furbescamente chiuso da Wilson e poi, finalmente, il nostro primo sussulto dal letargo di quel pomeriggio. Prima però, un'incertezza di Vullo libera Nicoli, sul quale Terraneo è bravo nel chiudere in angolo. Gradatamente iniziamo a passare dal contropiede isolato a una maggiore densità di gioco. Su corner, al 60’, ancora Terraneo sventa una pericolosa schiacciata di Wilson, poi Bob butta nella mischia Cantarutti al posto di un evanescente Lopez. Cantarutti è una torre, adatta a tenere il pallone là davanti, ma la tattica del fuorigioco attuata dal Torino sembra poter reggere fino alla fine. Davanti però anche il Toro inizia a mostrare segni di stanchezza e perfino lo spietato Pulici ammazza-Lazio (quante volte ci ha punito in quel decennio, sia a Torino che a domicilio!) prima devia troppo debolmente su Cacciatori e poi non finalizza il millimetrico assist di Patrizio Sala. Per passare dal possibile inferno del 3-1 all’insperato paradiso di un pari ci voleva un colpo individuale. Ed ecco materializzarsi dalle brume di un pomeriggio crepuscolare la figuretta elegante e muscolare di Bruno Giordano. Siamo a soli 8 minuti dal triplice fischio di chiusura. Bruno si lancia in uno slalom irresistibile, supera due avversari palla al piede, bomba potentissima a fil di montante, vanamente ostacolata da Terraneo, proteso in un tuffo a volo d’angelo. 2 a 2! Il Torino è imbufalito. Sul finire, l'arbitro Terpin minaccia severamente tutta la nostra barriera, indisciplinata nel restare ferma su un tiro di punizione (avete presente il sergente maggiore Hartman in Full Metal Jacket?) e sembra voglia espellerli tutti. Si limiterà al solo Aldo Nicoli. Poi ancora una bomba di Greco e un tiro al volo di Pulici finiscono in curva, al termine di un pomeriggio vissuto pericolosamente. A sera, vedemmo Radice masticare amaro e scorgemmo invece Bob, fischiettante e sorridente, coperto dall’abbraccio dei suoi ragazzi. In questi giorni, una parola emotivamente calda come “abbracci”, ci sembra indicare una situazione inopportuna, quasi fuori luogo. Eppure, il calcio è proprio questo, un caleidoscopio di sentimenti che vanno ben oltre la semplice tecnica e la fredda questione economica. Mercoledì sera abbiamo idealmente abbracciato tutta la squadra e i nostri amici laziali perduti nei loro divani in una serata tiepida di fine ottobre. Giocheremo regolarmente con il Torino, perché una situazione come questa potrebbe ripresentarsi e non avrebbe senso giocarci il “jolly” del rinvio proprio ora, sulle ali di un entusiasmo (e di un gioco) che sembra in crescita. Coincidenze? Impressioni di autunno? La Lazio vista a Bruges ci ha riscaldato il cuore, e chissenefrega se i media ci hanno ignorato. Date retta a noi: ci stanno facendo un favore. Viaggiamo a fari spenti, com’è nel nostro stile e nei nostri cromosomi, secondo un modo di essere che sembra esserci stato affibbiato dalla Storia. Andiamo a Torino a vincere. San Pietroburgo può attendere. Forza Lazio! Ugo Pericoli