Cari fratelli Laziali,
finalmente possiamo lasciarci alle spalle le vicissitudini
della nostra Nazionale. Le parentesi azzurre sembrano possedere quello strano
potere di farci innervosire senza motivo alcuno. Ciro Immobile è nuovamente in
testa nella classifica marcatori della Serie A? Bene, come d’incanto arriva la
Nazionale a ricordarci che invece è una pippa, uno scarpone che ha vinto la
Scarpa d’Oro al dopolavoro ferroviario. Preferiamo non aggiungere altro e
tuffarci immediatamente nel meraviglioso ricordo di oggi. Nell’anno in cui
arrivò la Lazio bella e vincente, la Lazio che ci avrebbe portato ad essere la quarta
squadra italiana per titoli vinti, in Italia e in Europa. Era il 13 settembre
1997 e Milan e Lazio s’incontravano già alla seconda giornata. Quel giorno il
nostro palmares si componeva di tre caselline soltanto:
1 scudetto, 1 Coppa Italia, 1 Coppa delle Alpi.
Intendiamoci: già da qualche anno, dal 1994 per la
precisione, la Lazio di Zeman aveva incantato tifosi ed avversari, ma ai buoni
piazzamenti finali non era stato aggiunto nulla di più. Sergio Cragnotti aveva
deciso di dare una svolta acquistando Roberto Mancini, l’ex golden boy di
Bologna e Sampdoria ritenuto – come vedremo, a ragione – l’uomo in grado di
portare una mentalità nuova, vincente, in grado di farci arrivare finalmente
“al dunque”. L’estate romana venne caratterizzata dai cartelloni 6 x 3 della
campagna abbonamenti, dai quali un Mancio abbronzato e sorridente pronunciava
la fatidica frase: “io ci credo!”
Faceva caldo a Milano, fu un 13 settembre di piena estate
per i 70.000 presenti a San Siro quel giorno.
Il Milan dell’immarcescibile Fabio Capello si presentò con
Taibi, Maldini, Costacurta, Cruz, Ziege, Ba, Albertini, Desailly, Leonardo,
Kluivert e Weah. A disposizione Capello aveva quasi un’alta squadra: Rossi, Boban,
Bogarde, Cardone, Maini, Andersson e Davids.
Sven Goran Eriksson è sbarcato a Roma da poche settimane.
Dieci anni prima ha guidato la asroma quasi sul punto più alto, fino al
suicidio (annunciato) di Roma Lecce. Quel giorno, in quel Roma Lecce, sedevano sulle
panchine due degli allenatori che avrebbero scritto la storia della Lazio.
L’avessimo saputo in anticipo, non avremmo patito le pene dell’inferno durante
quell’assolato pomeriggio, perché Eugenio Fascetti prima e Sven Goran Eriksson
poi, avrebbero rivelato di possedere una Lazialità ben impressa nel proprio
DNA. Dopo la asroma, per Eriksson inizia un walzer fra le panchine, due
passaggi (abbastanza a vuoto) con Fiorentina e Samp, ma fin dall’arrivo a Roma sponda
Lazio, tra lui e i tifosi si stabilisce un feeling più unico che raro.
Sven Goran doveva e voleva partire con il piede giusto anche
in trasferta e scelse la formazione migliore: Marchegiani, Pancaro, Nesta,
Lopez, Favalli, Fuser, Almeyda, Jugovic, Mancini, Casiraghi e Boksic. In
panchina Ballotta, Negro, Gottardi, Nedved, Rambaudi, Signori e Venturin.
Iniziamo la partita ballando un bel po’: avete presente il
Milan dei tempi migliori? Gioco spumeggiante, geometrie, possesso palla, difesa
arcigna? Fu così che nella prima mezz’ora non facemmo un tiro in porta mentre
il Milan tirò per quattro volte. Come spesso succede nel Calcio, Alen Boksic si
ritrova a tu per tu con la rete ormai spalancata: errore madornale dell’Alieno
che si divora il gol dello 0 a 1. La dura legge del gol tornò prepotentemente a
far valere le proprie regole e nella controreplica i Rossoneri vanno meritatamente
in vantaggio: rapido uno-due Ba Weah Ba, dormita di Nesta &. Co e gol di Ba.
Era il 38'. Dopo tre minuti, ancora il Milan a sbagliare un facile raddoppio
con Weah. Intervallo: Capello appare sereno, forte del proprio vantaggio e sicuro
di una squadra che ha rischiato poco o niente. Sven Goran invece appare
paonazzo, un po’ per il caldo ma anche perché è arrabbiato con i suoi, alcuni
dei quali sembrano aver giocato ben al di sotto delle proprie possibilità. Inizia
a scrivere sul suo quadernetto qualche nome per le sostituzioni. Rientriamo in
campo più agguerriti. Capello sembra però aver capito tutto, e sostituisce Ba e
l’esordiente Leonardo, con i più muscolari Bogarde e Boban. Il tempo scorre
spietato e le lancette compiono i loro 45 giri. Scorrono altri tre minuti,
asfittici ed assetanti, che ci fanno quasi desiderare quel fischio che ponga
fine a un’agonia semi estiva. Vi ricordate il fisico di Nedved? Alto ma con il
baricentro molto basso. Pavel entrò in area già un po’ ricurvo su sé stesso ed
al primo contatto (vero) si lasciò cadere nel modo più convincente possibile.
Rigore sì, rigore no? Di certo un contatto c’è stato ma sembra anche che
l’impatto sia stato fortemente “cercato” dal nostro attaccante. L’arbitro, il
signor Ceccarini di Livorno non ha dubbi, è rigore. Beppe Signori, ritratto nella foto, entrato alla
mezz’ora, s’incarica di trasformare in gol una palla che scotta. Mentre
qualcuno si chiude gli occhi e trattiene il fiato, Beppe-gol lascia partire un
sinistro mortifero che ci regala un punto tanto insperato quanto prestigiosissimo.
Dopo il pareggio ottenuto a tempo scaduto negli spogliatoi
c'è una strana allegria. Dopo tanti anni, o forse per la prima volta nella
quasi centenaria storia della Lazio, sono tante le star che compongono la
multinazionale cragnottiana. Qualcuno ha iniziato a sentire intorno a sé
un’aria pesante. Certo, un pareggio a San Siro ottenuto in zona Caicedo
profuma come una mezza vittoria, ma dalle dichiarazioni dei protagonisti si
capisce che qualche ombra comincia ad affacciarsi all’orizzonte. Su tutte quella
di Beppe Signori, che dopo aver realizzato la marcatura del pareggio non si
presenta in sala stampa. Lasciando lo stadio dedicherà il gol alla sua gente,
al suo pubblico, a quelli (i tifosi) che gli vogliono bene. Il campionato
1997-98 segnerà l’inizio di una svolta: la Lazio conquisterà ben due finali a
sette giorni l’una dall’altra.
La prima, in Coppa Italia, proprio contro il Milan. Sette
giorni più tardi, una romantica finale di Coppa UEFA, nella bomboniera del
Parco dei Principi, il vecchio stadio del Paris Saint Germain.
Tutti noi ricordiamo come andarono queste due finali. Così come
ricordiamo l’orgoglio di quei giorni, la consapevolezza di essere davvero tra i
più forti in circolazione e soprattutto, i più futuribili.
Cari fratelli Laziali, dopo questa sosta (un po’ troppo
velenosa) si ricomincia davvero. Appuntamento a domenica pomeriggio ore 18.
Possano i nostri regalarci le emozioni della stagione 1997-98! O avreste forse
un’idea migliore?
Forza Lazio!
Ugo Pericoli