Cari fratelli Laziali,
l’imminente partita con il Pisa di Alberto Gilardino riporta alla memoria la Lazio del campionato 1983-84. Per i tifosi cresciuti seguendo le peripezie della Lazio su Teleroma 56, Pisa Lazio significa una cosa soltanto: Giorgio Chinaglia e la sua grande illusione.
Eravamo certi che sarebbero scorsi fiumi di dollari e invece quella Chinaglia si sarebbe rivelata la presidenza più povera di sempre.
In un campionato dove ci è successo praticamente di tutto e che ha visto la Roma primeggiare in Italia e in Europa, arriviamo all’ultima giornata forti del fatto che a Pisa un pari sarà sufficiente. Più o meno consapevolmente, ci aggrappiamo all’esperienza di D’Amico. Dai microfoni di Gol di Notte, domenica 29 aprile, Vincenzo ha profetizzato: “Se le cose andranno come devono andare, domenica prossima il Milan batterà il Pisa, noi batteremo l’Ascoli. Poi, all’ultima giornata, ci basterà un pari. Perché Pisa e Genoa sarebbero fuori dai giochi”.
Alla penultima giornata le cose sono andate esattamente come le aveva prefigurate Vincenzo. Il Pisa non ha praticamente più speranze. Pace schiera la migliore formazione possibile: Mannini, Longobardo, Azzali, Garuti, Dianda, Armenise, Berggreen, Criscimanni, Birigozzi, Sorbi e Mariani.
Paolo Carosi fa lo stesso con Orsi, Podavini, Filisetti, Piscedda, Batista, Vinazzani, Cupini, Manfredonia, Giordano, Laudrup e D'Amico.
Fa caldissimo. Siamo arrivati in massa intorno alle 11. Un vero esodo, come tanti ne avremmo visti nel nostro futuro prossimo. 10.000 tifosi per parte, sembra un derby di provincia. Passiamo in vantaggio al primo tentativo, quando Giordano svetta nella mischia sulla punizione calciata da D'Amico. Il vantaggio infonde tranquillità. Sembra già tutto finito, archiviato. Vinazzani, Manfredonia e Batista formano una linea invalicabile mentre Laudrup, Giordano e D’Amico possono partire in contropiede. Ci rilassiamo durante l’intervallo, le notizie dagli altri campi sono positive. Non passano due minuti dal fischio di avvio del signor D’Elia che Berggreen porta il Pisa al pareggio. Il suo goal probabilmente è irregolare. Oggi, al tempo del VAR, goal come questi, segnati con il braccio, vengono puntualmente annullati. Protestiamo veementemente mentre i tifosi del Pisa, consapevoli che la loro retrocessione sia inevitabile, iniziano a tifare per il Genoa; i liguri stanno mettendo a ferro e fuoco la difesa della Juventus neocampione d’Italia. D'Elia sarà irremovibile. Tutti gli affanni della stagione riaffiorano prepotentemente. In tribuna abbiamo paura. Anzi, terrore. Sarebbe una beffa atroce che lascerebbe irrisolvibili strascichi. In sostanza, il Pisa vorrebbe farci retrocedere. Birigozzi alza di poco sulla traversa a Orsi battuto, poi una conclusione a porta sguarnita trova Batista appostato sulla linea di porta. Se c’era un motivo, uno soltanto, perché Chinaglia avesse scelto di pagare di tasca sua il miliardo di lire per assicurarsi un brasiliano che non ricordava nemmeno lontanamente Paulo Roberto Falcao, ebbene era questo. Perché tra i tanti episodi da mettere sul piatto della bilancia della salvezza, il salvataggio di Batista, alla prova dei fatti, salvò l’intero campionato 1983-84. La paura per lo scampato pericolo scuote la squadra. Manfredonia esorta alla carica i compagni, lanciandosi a testa bassa in area avversaria, trovando il modo per farsi “agganciare” da Mariani: fallo veniale ma netto, con Lionello che, per convincere D’Elia a concedere il rigore, ha assunto le sembianze di un deltaplano. Giordano trasforma, non senza un brivido lungo la schiena, perché Mannini arriva a sfiorare il pallone che fortunatamente gli piega le mani. Mancano 23 minuti, in tribuna iniziamo nuovamente a cantare. Il Pisa non vuole perdere, cerca in tutte le maniere di rovinarci la festa. Si porta all’attacco come se fosse una finale di coppa. Criscimanni tira, pallone tra Orsi e il palo, ancora una volta ci dice bene. Laudrup segna un bel goal ma D’Elia annulla per fuorigioco. Nuovo contropiede con il Pisa sbilanciato, slalom di Michelino -che prima mette a sedere Mannini ma poi si divora il 3 a 1. A due minuti dal termine, Carosi manda in campo anche Cacciatori. L’intenzione è buona, vuol farlo partecipare alla festa salvezza. Al 90' Mariani raccoglie un cross dalla destra e pareggia. Nello stesso istante, le radioline urlano che il Genoa ha capovolto il risultato. I pisani, sadicamente, iniziano a tifarci contro ma D’Elia aveva concesso solo sessanta secondi di recupero. Potevamo festeggiare la permanenza in Serie A. A luglio, all’arrivo di Chinaglia, qualcuno aveva osato parlare di scudetto.
Quella sera Giorgio versò lacrime di amore sincero per la sua, per la nostra Lazio. Preso dal pathos disse anche qualche bugia di troppo. Ad esempio, giurò che non avremmo mai più sofferto così. Che quello era il momento più bello dai tempi dello scudetto del ‘74. Che Laudrup era di proprietà della Lazio e sarebbe restato. Insieme a Paolo Carosi, che si era inventato una salvezza impossibile.
Il tempo, che Giorgio usava definire galantuomo, dirà come la gestione-Chinaglia avesse fallito su tutta la linea. Eppure, per tutti noi, Giorgio resterà il “presidente perfetto”. Un tifoso vero, come tutti noi. Una persona ingenua, pura, innamorata, passionale e generosa. Pensiamo che un presidente così non ritorni mai più.
Quanto all’attualità di questi giorni, domenica sera abbiamo rivisto il cuore. Guardate che mica è poco. A volte, ti fa volare oltre l’ostacolo. Forza Lazio!
Ugo Pericoli
