Da cosa si riconosce un talento? Nel caso di Cecilia Barca, Capitano della Lazio, dalla capacità di bruciare le tappe rimanendo sempre con la testa sulle spalle. La parola che meglio caratterizza le sue fasi di crescita, infatti, è “sotto età”: fa parte ancora delle Giovanissime quando gioca con l’Under 21 biancoceleste, esordisce in A a 15 anni e mezzo contro la Vis Concordia (e segna poco dopo la sua prima rete), ha già vinto 3 Scudetti Juniores quando viene convocata nella Nazionale Futsal Femminile (di cui diventa capitano) e ha appena 17 anni quando le viene data la fascia della Lazio e può vestire per la prima volta la maglia azzurra delle “grandi”. La sua vita sportiva è un colossal mandato in onda alla velocità della luce, eppure ogni istante è stato sudato e fortemente voluto sin da piccola. Non arriva al metro di altezza quando il padre e la madre la portano in un enorme negozio di giocattoli. “Scegli quello che vuoi”, le dicono. Lei si guarda intorno e poi va dritta verso il pallone: non ha dovuto decidere, lo stava solo cercando. Ne colleziona a centinaia, di tutti i colori e di tutte le forme, ma la sua prima iscrizione è in una scuola di ginnastica artistica. “Ricordo solo il passo del gatto, un esercizio su una trave bassa. Ma ero obiettivamente negata”, sorride Cecilia tradendo quella timidezza della quale mi avevano a lungo parlato prima dell’intervista. “Se l’anno prossimo ce lo richiede, proviamo col calcio”, si dicono i genitori. E Cecilia, puntuale, arriva col pallone sotto il braccio. Per una stagione intera impara dribbling e tiri, poi – però – si cambia ancora: nuoto. Due anni a buonissimi livelli, tanto che le viene proposto di passare all’agonismo, ma il richiamo del campo è di nuovo troppo forte. Quel campo è il De Rossi, una struttura vicino casa dove Cecilia torna a dare sfogo alla passione di sempre, ma l’avventura termine alla fine della stagione con il passaggio all’atletica leggera. “Così i nonni accompagnavano tutti i nipoti in un posto solo, era più facile. E io ho accettato”. Altra disciplina, altra chiamata all’agonismo. Ma eccolo il solito richiamo: siamo al “Don Orione” di Alessio Marazzi e Cecilia sta per fare la sua conoscenza col futsal, grazie ad un torneo estivo organizzato dalla parrocchia. Le sue esperienze col calcio di solito hanno vita breve, ma – ve lo diciamo subito – questa è la volta buona: Luisa “Antonella” Campanelli la nota, va a parlare con papà Stefano e – in men che non si dica – per la dodicenne Cecilia si aprono le porte della Lazio di Piersigilli e di Giorgio Regni, guru della Juniores. “Non ti nascondo che all’inizio c’era tanta ansia. Allenarsi con persone come Lucilèia, Cely e Nanà era difficile, perché – per quanto cercassero di darmi una mano – erano tutte troppo più forti e troppo più grandi”. Successivamente la squadra passa in blocco alla Lazio di Chilelli, da pochissimo ex Real L’Acquedotto. E per Cecilia Barca inizia un’altra (bellissima) storia che si apre con il “biennio d’oro” 2013/14 e 2014/15. “Abbiamo vinto una Coppa Italia Juniores e due scudetti. Quale ricordo meglio? Il primo, perché ero la più piccola del gruppo e ho segnato in finale il primo e il quarto gol, quest’ultimo con doppio dribbling dalla difesa e conclusione. Mio padre conserva il video e ne parla ancora dopo anni: è già difficile se tiro in porta – sorride – invece ho fatto doppietta”.. Da parentesi tra uno sport e l’altro, il futsal sta diventando una parte fondamentale del quotidiano di Cecilia. Forse la più bella. “Per me è passione ed è una continua sfida con me stessa. Difficile vivere solo di questo, ma per me rappresenta la felicità. Quando ho un pallone tra i piedi, sento di aver trovato il mio posto nel mondo”. Chilelli quella gioia gliela legge in faccia. Probabilmente è la stessa che ha lui da giocatore e da mister, quella che nessun ko potrebbe mai scalfire perché il campo è sempre pronto a riabbracciarti per fare pace. E così la incorona, affidandole la fascia di capitano. “Mi ha mandato un messaggio che non dimenticherò mai, dicendomi che rappresentavo i suoi valori ed ero la persona che identificava come simbolo. Era prima dell’esordio stagionale contro il Locri. Per me è stata una sorpresa enorme: i sacrifici di tanti anni erano stati ripagati”. Quella fascia non è un accessorio. Quella fascia indica responsabilità precise che Cecilia, a soli 17 anni, è pronta ad assumersi come farebbe una veterana. “Un capitano è quella figura in grado di mediare il più possibile tra giocatrici e staff, filtrando e gestendo i piccoli problemi di tutti i giorni. Ma più di tutto, è quella figura che c’è sempre e non ti lascia mai sola. Mi piace immaginare la squadra come un gruppo che deve combattere e mi vedo come la prima persona che sta accanto ad ogni compagna. Devo essere dove c’è bisogno, perché io sono al servizio delle mie compagne e nessuna deve lottare da sola”. Avrei voluto farvi sentire il tono, il trasporto. E poi vorrei che le fosse data una cattedra di insegnamento dei valori all’università del futsal. Se un giorno venisse in mente a qualcuno di istituirla, ricordatevi – per favore – di Cecilia Barca, perché è raro trovare qualcuno che ami in modo così assoluto lo sport che pratica, tra gioie e dolori. “Una sconfitta che non dimentico è stata in Coppa Italia, in finale, contro l’Isolotto. 1-0 per loro. A fine gara piangevo a dirotto, ma non per il risultato. Piangevo perché era finita l’avventura in quel mondo magico: erano stati solo 3 giorni, ma a me erano sembrati mesi. Tutte nello stesso hotel, gare maschili e femminili tutto il giorno, calcio a 5 ovunque. Non avevo mai vissuto niente di simile così intensamente”. E poi ci sono quei rapporti indissolubili, nati proprio sul campo. “Io sono cresciuta nello stesso club avendo accanto per lo più le stesse persone, e questa è una cosa molto bella. C’è Arianna Tirelli, ad esempio, che ormai è come una sorella per me e una terza figlia per i miei genitori. Prima del fischio d’inizio di ogni partita, mi giro e incrocio il suo sguardo. È un modo per dirci: “Ci siamo, eh!”. Poi guardo gli spalti e ci sono papà, mamma e mia sorella con Jack, un labrador di un anno e mezzo che è l’elemento più amato della famiglia: è molto importante averli tutti lì e sapere che mi seguono”. La trasferta col Montesilvano, invece, la seguiranno in diretta streaming, sperando – come tutti in casa Lazio – in un deciso riscatto. “Sicuramente ci aspettiamo una gara diversa rispetto a quella di andata. C’è voglia di fare una prestazione importante, perché quel 10-2 contro non si dimentica: a mio parere, può mancare qualsiasi giocatrice, ma non per questo la squadra deve cambiare rendimento. Quel giorno è mancata la testa, non un nome in particolare. Se sei concentrata e vuoi salvare una palla sulla linea, stai sicura che ci arrivi. Così come se ti poni l’obiettivo, per esempio, di non far passare Amparo: se ci sei con la testa, ci riesci. È questa la vera forza di un gruppo. Personalmente, penso di aver ancora tanto da lavorare, ma gli stimoli non mancano mai e cerco di aggiungere ogni giorno qualcosa al mio bagaglio. Non mi sento arrivata neanche un po’, ma dal punto di vista mentale sono sicuramente cresciuta: immaginami a 16 anni con Daniele che mi urla dietro… O lasci o cresci – ride -. All’inizio mi buttavo giù, poi ho imparato a reagire, ad andare oltre, nonostante tutto. A questo, ho unito poi tutto quello che mi ha insegnato a livello tattico, dai concetti base alle più svariate possibilità per ogni schema. Oggi so di essere cresciuta, ma a volte vorrei un pizzico di razionalità in meno: la Cecilia di adesso ha migliorato tanti aspetti, ma molto probabilmente non risegnerebbe mai il quarto gol del primo Scudetto…”. Ma è proprio l’affidabilità il punto di forza che fa di Cecilia una delle top player della Serie A, a disposizione di una Lazio che scalpita nella zona alta della classifica. “Sai quando vai troppe volte vicino a qualcosa e senti che stavolta sarà quella buona? Ecco, qui ci sentiamo proprio così. Abbiamo acquisito tanta maturità e ora siamo pronte a portare a casa un trofeo nazionale, per concretizzare un percorso che va avanti da anni sempre con lo stesso entusiasmo”. (articolo di Silvia Vinditti tratto dal portale www.anygivensunday.it che ringraziamo)