A riposo già da qualche giorno, quando
di riposarsi Cecilia Barca avrebbe volentieri fatto a meno. L’avete mai vista
chiedere il cambio? L’avete mai vista risparmiarsi? Mai. E di sicuro non lo
avrebbe fatto proprio ora, a ridosso della semifinale. Eppure quel momento è
arrivato: gara -3 con lo Statte. Un’altra di quelle partite da Lazio, troppo spesso croce e delizia di se stessa. E se fosse
stata forse quest’incostanza a punirla?
“Quel che so,
è che meritavamo qualcosa di più – commenta Cecilia – ma purtroppo ci siamo
svegliate tardi. Se guardi la prima parte di stagione, non eravamo unite a
livello di squadra, non lottavamo insieme. Non che ci fosse un motivo
particolare, ma era così. Poi c’è stata la Coppa ed è cambiato tutto, come se
fosse scattato un meccanismo in testa. Ci siamo ricompattate e abbiamo tirato
fuori qualcosa di più… sarebbe stato bello se fosse bastato”.
È stata l’ultima ad arrendersi, Cecilia,
il capitano coraggioso che ha imbrigliato la fuoriclasse di turno con una forza
inaspettata dentro quei 50 chili appena. L’anti-Renatinha, l’anti-Pato: non sono
state poche le osservate speciali annullate dalla sua morsa.
“ Ma se non ha
portato nulla di buono alla squadra, allora a cosa è servito? Ora come ora, non
riesco a vederne il lato positivo, magari l’apprezzerò più in là. La prima
volta che ho marcato Renatinha, lei era a Terni ed io avevo 17 anni: se non
sbaglio, prendemmo 3 gol, quindi vuol dire che non era andata troppo bene. Dopo
4 anni di prove – sorride – sono finalmente riuscita a
limitarla nell’uno contro uno, ma devo dire che le compagne mi hanno sempre
dato una grande mano”.
Da questa complicità si dovrà ripartire.
“Dove non
arrivo io, ci sei tu. Eravamo diventate questo. La Coppa aveva riscoperto una
squadra con la voglia di sostenersi reciprocamente, con voglia di andare avanti
e grandi motivazioni. Da agosto ad oggi abbiamo fatto un lavoro clamoroso, per
poi ritrovarci di nuovo punto e a capo. Le lacrime dopo Rimini sono state di
dispiacere, ora predomina la rabbia. Che partita rigiocherei? Proprio gara -3 – risponde, dopo averci pensato un po’ su -. In seguito alla finale persa
col Falconara, abbiamo comunque avuto la possibilità di riazzerare e porci un
nuovo obiettivo, invece adesso è tutto davvero finito e non doveva essere così.
Abbiamo giocato praticamente tre partite fuori casa, in gara -2 abbiamo tirato
46 volte in porta e – quando c’era da chiuderla nella “bella” – prima siamo
state costrette ad inseguire per un rigore e poi non abbiamo avuto freddezza
sotto porta. Forse è mancato quel qualcosa in più, ma di sicuro siamo uscite
tutte dal campo con la maglia sudata”.
Ha onore da vendere questa Lazio della
quale Ceci è il simbolo più puro.
“Meritiamo di
vincere qualcosa, sia noi ragazze che uno staff che non ci ha fatto mancare
nulla. Ho la bacheca piena di medaglie d’argento e sinceramente inizio ad
esserne stufa, perché abbiamo bisogno di un’esplosione di gioia. A volte vorrei
solo staccare, ma in realtà sono quella che poi non si è persa neanche un
secondo dei playout e sta già pensando a come riprovarci con la sua solita
testardaggine: torneremo presto a lavorare – sorride Barca – per arrivare più
lontano di una semifinale o per toglierci la soddisfazione di quella
“maledetta” coppa che ci sfugge ormai dal 2016”.
(si ringrazia Silvia Vinditti e il portale
www.anygivensunday.it, anche per l'utilizzo della foto)