Cari fratelli Laziali, ci siamo presi un po’ di tempo per preparare questo pezzo. Che settimana! Un ennesimo bel risultato in terra di Russia, ottenuto da una Lazio in piena emergenza, il saluto – inatteso e doloroso - al grande Gigi Proietti, che ha rattristato l’intera Città. Nel mezzo, le notizie sui nuovi contagiati, sulle zone, sui colori “di rischio contagio” assegnati in base a valutazioni di criticità che non spetta a noi giudicare, si è trovato anche il tempo per spargere veleno sulla SS Lazio, tirandola in ballo su presunti tamponi con negatività a corrente alternata. In breve: mentre da una parte c’è una società che, nel silenzio più totale dei media, è sempre protetta nel nome di interessi economici e di sistema (vaglielo a spiegare ai risparmiatori di una qualsiasi altra S.p.A di perdere il 60% del valore del capitale investito nel giro di 11 mesi!) ce n’è un’altra che si sta ben comportando in campionato e in Europa (nonostante una campagna acquisti non particolarmente riuscita e una serie di infortuni che ne hanno decimato l’organico), costantemente sottovalutata e ignorata. Tra due giorni sarà nuovamente Lazio-Juventus. È un super classico, ma il precedente che stiamo per proporvi non fu una partita come tutte le altre. Quel giorno non c’erano bandiere e striscioni, nessun fumogeno, nessun tamburo. Pochi gli aquilotti allo stadio, perché non erano gli stadi posti sicuri da portarci un bambino. Era il 4 novembre 1979. La domenica precedente, durante l’attesa del derby, si era verificata la più grande tragedia della storia della nostra tifoseria. Un razzo antigrandine, lanciato dalla curva sud tramite un rudimentale bazooka entrato chissà come all’Olimpico, colpì ed uccise il nostro Vincenzo Paparelli. Una giovane famiglia distrutta per sempre, una tifoseria sconvolta, e una Società - la nostra, che non riuscì a farsi trovare pronta per quel giro di giostra di fine decennio. Era l’8° giornata del Campionato, e stavolta Lazio Juventus arrivava nel momento peggiore possibile. Quella settimana di tutto si era parlato fuorché di calcio. Si parlò di sospensioni, si invocarono misure di Polizia, qualcuno arrivò a parlare di assurdi inasprimenti di pena, si tennero tavole rotonde in cui si parlò di tutto e di più. Tranne che di Vincenzo. A noi ragazzi venne chiesto di non portare allo stadio bandiere e vessilli, e ci sembra di ricordare che quel giorno rinunciammo perfino a portare la sciarpa. Quella domenica gli stadi dovevano vestirsi di dolore e recitare una sorta di mea culpa, da dare in pasto ai falsi moralisti e benpensanti, molti dei quali – probabilmente – in uno stadio mai avevano o avrebbero messo piede. Cosicché, quando il pullman lasciò il ritiro, Bob Lovati tirò un sospiro di sollievo. Occorreva spezzare la trama d’angoscia che si era andata insinuando nelle teste dei suoi ragazzi. Durante il tragitto Bob lesse la formazione. Nessuno disse niente, nemmeno Vincenzo D’Amico, nuovamente escluso dall’elenco dei titolari a vantaggio dell’oriundo italoargentino Antonio Labonia. Manfredonia e Montesi erano “in borghese”, jeans e girocollo, indisponibili quella domenica per squalifiche e infortunio. Lo speaker lesse la formazione con un tono quasi sommesso: Cacciatori, Tassotti, Citterio, Wilson, Pighin, Zucchini, Garlaschelli, Labonia, Giordano, Nicoli e Viola. La Juventus non arrivava anch’essa nelle migliori condizioni psicologiche. L’anno precedente gli era toccato di scucirsi lo scudetto (vinto dal Milan dell’ultimo Gianni Rivera, al suo commiato dal calcio giocato) e non era affatto disposta a concedere bis. Il Trap poteva contare sulla formazione tipo: Zoff, Cuccureddu, Cabrini, Furino, Gentile, Scirea, Causio, Tardelli, Bettega, Verza, Marocchino. Lo stadio era tutt’altro che pieno, erano tempi pesanti. Allineati a fianco delle giacche nere guidate dal signor Barbaresco di Cormons (uno degli arbitri top di quegli anni di piombo) le due formazioni sostarono per oltre un minuto in un silenzio assordante, interrotto solo da qualche isolato applauso. Un solo striscione, preparato per l’occasione, spiccava dai marmi della tribuna Tevere: “Tutti insieme, no alla violenza!” Poi, il vero e proprio minuto di silenzio per Vincenzo Paparelli, e allora la commozione s’impossessò di molti di noi. Con il lutto al braccio e gli occhi arrossati Wilson sembrava distrutto. I primi minuti furono schermaglie timide e giocate appena accennate. Chi era allo stadio, ricorda l’indifferenza che accompagnava le azioni di gioco da una parte e dall’altra. Ciò nonostante, i nostri giocavano con una concentrazione che non si vedeva da tempo. Viola orchestrava la manovra con giocate semplici e ordinate, Wilson trasformava l’iniziale malinconia in determinazione, Tassotti, Citterio e Pighin rispettavano le consegne impartite dal capitano. Priva di Manfredonia e avendo rinunciato anche alla creatività di D’Amico, la squadra non disponeva di elementi capaci di assistere adeguatamente Giordano e Garlaschelli. Quest’ultimo, costantemente francobollato da Cabrini, era del tutto escluso dalla manovra. Andò così: la Juventus comandò il gioco per il 90% del tempo. Macinò kilometri, ma senza raccogliere i frutti sperati. All’11°, la svolta della gara. Calcio di punizione dal vertice dell’area proprio sotto la curva nord lato tribuna Tevere. È un pallone perfido quello che scalda i guantoni di Zoff, che davvero si supera respingendo la sfera quasi d’istinto. Dal centrocampo, sta arrivando di gran carriera Verza, a protezione della propria area di porta. Giunge però nel momento più sbagliato per Zoff e nel migliore per noi: un autogoal di quelli che non usano più, con la palla che impatta a tutta forza sullo stinco nel difensore, prendendo velocità arrivando a gonfiare la rete: 1 a 0. E adesso? Come si fa a giocare una partita che non si voleva nemmeno iniziare ma la stai vincendo dopo una decina di minuti e ti manca pure mezza squadra? Succede che per tutto il primo tempo la Juve si è preoccupata di limitare il raggio di azione del temutissimo Giordano (sempre in goal con lei negli ultimi tre anni), affidando il compito al mastino Cuccureddu. Questi si disimpegna molto bene, avvalendosi del sostegno di Scirea e di Furino. Non ha reagito all'autorete di Verza con il piglio dovuto, continuando a trascinare la palla con movimenti rallentati e sempre scontati e prevedibili; una lentezza strana, soporifera. Vi diciamo che il risultato più equo in un match del genere sarebbe stato un pareggio per 0 a 0. Con Bettega non pervenuto e Causio fuori forma, la Juve di quel giorno aveva solo il giovane Marocchino isolato davanti. Troppo poco per impensierirci. . Nella ripresa qualche miglioramento, più carattere, maggiore decisione da parte juventina. Considerate questo: la Juventus giocò il secondo tempo esclusivamente nella nostra parte di campo e Dino Zoff toccò palla solo su retropassaggi dei suoi compagni. Erano quasi le quattro del pomeriggio, un sole pallido e ancora tiepido tramontava dietro la Nord, mentre un coro “Lazio – Lazio”, prima timido ed isolato, prese via via più consistenza. A dieci minuti dal termine lo stadio aveva cominciato a crederci, stavamo vincendo contro la Juve e per come stavamo vivendo quel campionato era un risultato fuori dell’ordinario. Viola e Wilson, uno davanti e l'altro indietro, trascinavano tutti. Giocavamo con soli 9 uomini: Giordano e Garlaschelli infatti, erano sempre isolati per il marcamento spietato subito nei 90 minuti, ed erano praticamente fuori causa. Negli ultimi minuti solo mischie e rimpalli davanti a Cacciatori. Un solo minuto di recupero. Al termine un boato liberatorio. Noi subito a casa, con uno spirito diverso. Avevamo vinto, sì, ma non c’era molto da festeggiare. Arrivò il Natale e calò il sipario sul decennio più lungo e avventuroso della nostra storia. A gennaio la musica cambiò. Alcuni nostri giocatori non onorarono la memoria di Vincenzo Paparelli. Errori di gioventù, inesperienza, fragilità emotiva, sprovvedutezza, leggerezza, un combinato disposto di tutte queste “negatività” coincise nell’inverno più nefasto per il nostro sodalizio. Pochi giorni fa è ricorso l’anniversario della morte di Vincenzo. A quarantun anni di distanza da quel 4 novembre 1979, un nuovo Lazio Juventus, in uno stadio troppo vuoto per essere vero. Nel ricordo di Vincenzo Paparelli, attendiamo una bella partita e un grande risultato da dedicargli. Forza Lazio! Ugo Pericoli (foto tratta da LazioWiki, che ringraziamo)