Cari fratelli Laziali,

dopo il 4 a 0 sul Milan stiamo marciando ad un ritmo da retrocessione. Conosciamo i nostri giocatori e non ci rimane che attendere un segnale di ripresa. La Salernitana non sarà l’Atalanta, tuttavia sarà bene trarre insegnamento dal passato, a cominciare dalla partita di andata. Se poi volessimo scandagliare più in profondità i trascorsi con la squadra campana, faremmo bene a ricordare il pomeriggio vissuto a Salerno da una delle Lazio più forti, quella del campionato 1998-99, ritenuta da taluni la più forte di sempre.

È quel che faremo oggi. Torneremo indietro al 1° novembre 1998.

È la VII giornata. Siamo impegnati su tre fronti e dobbiamo dosare le forze perché mancano all’appello sia Nesta che Vieri.

Tutto sommato, la trasferta di Salerno, al duo Spinosi-Eriksson appare quasi una formalità.

Delio Rossi, il non troppo conosciuto allenatore dei campani, ha a disposizione soltanto una truppa di illustri sconosciuti – qualcuno, invero, di grande futuribilità. Schiera il meglio che ha: Balli, Del Grosso, Tosto, Fusco, Fresi, Breda, Gattuso, Vannucchi, Giampaolo, Di Vaio e Belmonte. Dalla panchina può attingere tra De Vito, Song, Ametrano, Bolic, Tedesco, Bernardini e Di Michele.

Noi ci presentiamo con quasi tutti i titolari: Marchegiani, Negro, Mihajlovic, Fernando Couto, Pancaro, Sergio Conceicao, Venturin, Baronio, Stankovic, Favalli e Roberto Mancini. A disposizione Ballotta, l’alieno Allen Boksic, Gottardi, Pinzi, Sbaccanti, Iannuzzi e Lombardi.

È un pomeriggio dal clima autunnale e la Lazio vi arriva imbattuta. L’impressione è che la squadra non si stia esprimendo al massimo e soffra di parecchie amnesie tattiche. La Salernitana gioca per salvarsi, noi per provare a vincere lo scudetto. Lo stadio trabocca della tipica passione che i campani sanno riversare nelle occasioni che contano: sono presenti all’Arechi circa trentamila tifosi.  

Eriksson ha rivoltato la formazione come un calzino. Via al turn over: Nedved è uscito provato dagli straordinari in Coppa Italia così come Salas, non al meglio. A centrocampo Eriksson prova a sbalordire tutti inserendo in posizione di playmaker il fluidificante Beppe Favalli. Nonostante la nuova disposizione tattica appare chiaro fin dalle prime battute la nostra cronica difficoltà a giocare contro le provinciali che si chiudono a riccio. Negro si posiziona come terzino destro mentre sulla sinistra c’è Pancaro. Nonostante abbiano entrambi “gamba” pasticciano non poco; i collegamenti con il reparto d’attacco sono imprecisi.

Si gioca sulle fasce e, stante l’assenza di un centrattacco di ruolo e di una torre, anche i lanci di Mihajlovic si perdono nel vuoto. Eriksson tiene in panchina Boksic, che non risparmia mugugni ogniqualvolta nota gli omissis della coppia Favalli-Gottardi in fase di impostazione. Nonostante tutto, discendiamo con leggerezza le fasce, specie su quella di destra, da dove partono interessanti traversoni sui quali la difesa salernitana spesso interviene a fatica. Teniamo il pallino del gioco e l’impressione che resta del primo tempo, è che la Lazio avrebbe potuto passare in vantaggio da un momento all’altro. Al rientro dall’intervallo, si presenta un’altra Salernitana. Noi restiamo sorpresi, ci ritiriamo all’indietro, convinti – dall’alto della nostra manifesta superiorità tecnica - che prima o poi l’occasione per infilzare gli Amaranto arriverà.

Delio Rossi ha organizzato la sua squadra secondo un classico 4-3-3 zemaniano. Giampaolo-Belmonte e soprattutto Di Vaio. Marco Di Vaio non ha mai trovato spazio nella rosa di Eriksson, troppo piccolino ma soprattutto, dal cognome troppo poco esotico per giocare con frequenza nella multinazionale cragnottiana.

Oggi è un avversario e Delio Rossi lo ha caricato come una molla. Dietro questo terzetto d’attacco gioca con prudente maestria il giovane Gennaro Gattuso. È abbastanza sconosciuto, è considerato un giocatore di scuola plebea nonostante provenga dai Rangers di Glasgow. Ha puntato Venturin e Baronio, spezza ogni loro iniziativa con interventi decisi e mai violenti. Specie Baronio tentenna e da una mancata chiusura parte il primo e pericoloso contropiede amaranto che Belmonte dilapida per una crisi di ansia. Avrebbe avuto tutto il tempo per respirare e per controllare, e noi ci salviamo. A centrocampo abbiamo giocatori troppo abili da venir marcati senza commettere fallo. Da due falli, prima su Stankovic e poi su Mancini nascono due tiri di punizione che Mihajlovic (ripreso, nella foto, in una fase di gioco) non riesce a trasformare in gol. Forse sarebbe un po’ troppo, perché – se nel primo tempo abbiamo quasi dominato – nella ripresa la Salernitana sembra L’Atletico Madrid. Marchegiani ipnotizza l’emozionatissimo Di Vaio sfilandogli il pallone sul più bello e si arriva negli ultimi minuti finali. Siamo all’ottantesimo e il tifo dell’Arechi è salito alle stelle. Perché la Salernitana ha preso il controllo del gioco e sembra non mollarlo più. Mancini vaga per il centrocampo con il sopracciglio sollevato, sembra Napoleone, forse sdegnato da cotanto basso livello di gioco. Ma il calcio è anche questo. E così, con una tenacia quasi rugbistica, succede che la Salernitana conquisti metro dopo metro e che si giunga all’ottantottesimo, con un calcio di punizione da un punto molto decentrato sulla destra. Si posiziona per il cross Todesco. Da quella distanza, non potrà che effettuare un tiro a girare, consapevole del fatto di come la Lazio possa disporre di grandi torri difensive come Negro, Couto e Mihajlovic, oltre che di un portiere reattivo come Marchegiani.

Lo stadio trattiene il fiato mentre il pallone tocca terra e prende velocità. È un rimbalzo soltanto. Né le nostre tre torri, né il piccolo Di Vaio sembrano intervenire. Il vento ha forse accentuato l’effetto ma l’impressione è che si tratti di una traiettoria imprevedibile sulla quale, sia Marchegiani che tutti i suoi compagni, ne siano rimasti ipnotizzati. Forse al fine di incoraggiarlo, il gol viene attribuito a Marco Di Vaio. O forse ancora, l’attribuzione è figlia di una campagna stampa ostile alla Lazio cragnottiana, che viene percepita come una reale minaccia per le solite note.

Provate voi a riportare la palla centrocampo in una situazione come quella! L’Arechi sembra la Bombonera,

i calciatori amaranto si sono arrampicati sulle recinzioni per rispondere al calore dei tifosi increduli. Sembrano undici toreri. Ci tocca soffrire anche negli ultimi 6, 7 minuti, compresi i 4 che il signor Treossi ci ha generosamente concesso. Saranno altri cross persi nel vuoto, una grande occasione mancata dai nostri giocatori, tre punti in palio probabilmente “sottovalutati” ma che alla fine del campionato si riveleranno decisivi. Perché, vedete… ogni volta che si discute sull’epilogo di quel campionato, stiamo parlando del 1998-99, la memoria corre alla partita di Empoli e a quella interna col Milan. Analizzando in profondità alcune partite ci accorgeremmo che spesso abbiamo girato veramente a vuoto.

Tra poche ore a Salerno ci attende una partita durissima. Siamo reduci dalla vittoria sul Cluj, secondo in classifica nel suo campionato. Contro i rumeni per la prima volta non abbiamo corso alcun rischio, sebbene l’uno a zero sia un risultato non particolarmente tranquillizzante. Siamo ormai nel vivo della stagione, Ciro sembra tornato il bomber che è, dopo aver segnato un gol strepitoso in un torneo che non ci convince del tutto. Proviamo a vincere a Salerno. Forza Lazio!

Ugo Pericoli