Lo chiamavano “Cecè”. Fernando Saraceni non era solo un bravissimo giocatore di calcio. Figurarsi, nel cuore dei laziali era destinato a sostituire addirittura Sante Ancherani, il primo centravanti, soprattutto il primo capitano, che, per amore della musica, con la carriera quasi già in archivio, lascio’ il calcio e quindila Lazio. Saraceni eccelleva non solo nel pallone, detenendo, ad esempio, nel salto in lungo il record di5 metri senza l’uso della pedana. All’inizio del Novecento, quandola Lazio acquisto’ vita e vigore, era consuetudine che gli atleti biancocelesti, anche nel corso della stessa giornata, fossero protagonisti in diverse discipline. Si giocava a pallone, nell’enorme spianata di Piazza d’Armi, dove il quadrante nord della città si esauriva. Poi, magari, si correva a Villa Borghese. Oppure si scendeva sul greto del Tevere, ci si buttava in acqua e si giocava a pallanuoto. Era una Lazio polivalente, unica ed esclusiva, incarnando già l’essenza della Polisportiva.

Saraceni possedeva un tiro che assomigliava ad un colpo di cannone. La Lazio, all’epoca (era il 1913) giocava al Parco dei Daini, in mezzo a Villa Borghese. Il calcio – o meglio il “football” – richiamava gente. E poi, a quei ragazzi vestiti con quelle enormi camice biancocelesti, il culto di quel gioco venuto dalle costiere di Dover era stato inculcato da seminaristi scozzesi e irlandesi. Era stato proprio Ancherani, anni prima, emulo tra i campioni di tutti i tempi della società, ad accettare quegli insegnamenti ed a trasmetterli ai propri compagni. A cui proprio le donne della famiglia Ancherani avrebbero personalmente confezionato le prime, storiche casacche. Bianche e celesti.

Bene, l’inizio di questa storia ha origine proprio da quel tiro al fulmicotone di “Cecè” Saraceni. Era costume, all’epoca, che anche le carrozze che trotterellavano sui vialoni di Roma-sparita si adagiassero sul fianco della strada per ammirare, al Parco dei Daini, le peripezie di quei ragazzi che componevano la squadra della Lazio. Quel giorno, pero’, era destino che qualcosa andasse storto. Il tiro di Saraceni, infatti, infranse il vetro della carrozza colpendo al viso addirittura la moglie del Prefetto di Roma, Annaratone. Da li’ a poche ore, il Comune intimo’ lo sfratto e cosi’la Lazio si ritrovo’ senza campo. Fu allora che ebbe origine il romantico legame trala Lazio e il campo della Rondinella, compreso in un’area alberata – se il riferimento geografico fosse ad oggi – disegnata trala Curva Nord dello Stadio Flaminio e la calotta del Palazzetto dello Sport, in piazza Apollodoro.

Una storia zeppa di nomi, volti, aneddoti, ricostruzioni, curiosità. All’interno della Rondinellala Laziodilato’ il suo fascino. Era lo stadio in cui avrebbero giocato, ed esaltato, Piola, Sclavi, Bernardini.

Fu in questa circostanza, dettata soprattutto dall’emergenza, che prevalsero le intuizioni del Presidente di allora, Fortunato Ballerini. Toscano, già numero uno della Ginnastica Roma, proveniente da una famiglia borghese, funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia, una passione purissima per lo sport e perla Lazio. Quando, nel 1925, Ballerini lascio’ la carica di Presidente,la Laziovantava già quattromila iscritti nelle varie sezioni della Polisportiva. Un esercito, una infinità di cuori, ai quali Ballerini aveva trasmesso – con l’esempio e la dedizione – il culto di una pratica sportiva all’insegna del rispetto e della tolleranza.

Dunque, preso atto dello sfratto intimato dal Comune, Ballerini scomodo’ l’allora Sindaco di Roma, Nathan, per risolvere il problema, generato da quel tiro sballato di Saraceni in mezzo al Parco dei Daini. Il Presidente della Lazio era noto per le sue virtu’ di straordinario mediatore. Sapeva parlare, districarsi nelle pastoie di negoziati anche difficili. Abile diplomatico, stimatissimo in tutti gli ambienti che contavano della Roma del primo Novecento.

Anni addietro, addirittura, era stato incaricato di perorare la candidatura di Roma per ospitare i Giochi Olimpici del 1912, poi assegnati alla statunitense Saint Louis. Fu lo stesso Nathan, pertanto, convinto e pressato da Ballerini, ad ordinare un nuovo spazio perla Lazioed i suoi campionati.La Rondinella, allora, è un prato incolto ma cio’ che conta è chela Lazioabbia di nuovo una sua casa, un luogo dove esaltare il proprio spirito e il proprio senso di appartenenza. L’accordo che Ballerini perfeziona col Comune (trenta lire mensili) è assolutamente vantaggioso perché non soltanto contribuisce a dotarela Laziodi un campo per giocare ma arricchisce anche altre discipline, le antesignane della nostra Polisportiva.La Lazio, infatti – grazie alla lungimirante trattativa perfezionata dal proprio Presidente – ebbe a disposizione un’area golenale di100 metrisulla riva sinistra del Tevere, a breve distanza dal campo, dove si sarebbe potuto nuotare e svolgere sedute di canottaggio. Non è finita: l’intesa prevede anche il possesso di un ex convento dei cappuccini, all’angolo tra piazza  Barberini e via Veneto. Qui si sarebbe potuta praticare la scherma, al termine, peraltro, di lavoro di opportuni lavori di restauro. Dopo tredici anni dalla sua fondazione, dunque,la Lazioè vita che pulsa.

Poco importa che la prima visita sul campo della Rondinella scateni gli scetticismi. Un terreno incolto, aperto a tutti, senza alcuna recinzione. Ma ormai i laziali, inguaribili sognatori, hanno già sentimentalmente adottato quel lembo di terreno. Il campo della Rondinella è un’area sassosa? Poco importa, la lazialità è ideale di vita che significa comunione di intenti. Accade allora che il socio Goffredo Magistrelli, ricco possidente che si era arricchito nel lontano Uruguay, metta personalmente a disposizione trecento lire per pagare le spese di rifacimento del campo, erigendo soprattutto una rete di recinzione.

Il primo novembre 1914la Lazioinauguro’ il campo della Rondinella, vincendo tre a due contro l’Audace. La data da sottolineare con un lapis blu, pertanto, è questa. E la storia della Rondinella dovrebbe essere conosciuta da ogni laziale: quasi un sacrilegio sarebbe, infatti, ignorarne il valore ed il significato.La Laziovi gioco’ fino al 1931, quando vennero ultimati i lavori di ricostruzione della Stadio Nazionale del Partito Fascista, continuando pero’ ad allenarvisi fino al 1957. Qui venne disputato il primo derby controla Roma, qui venne disputata la finale nazionale, perduta nel 1923, contro il Genoa e il primo incontro del campionato a girone unico, coincisa con una trionfale vittoria contro il Bologna Campione d’Italia. Quando, appena sette mesi dopo l’inaugurazione, l’Italia dichiaro’ guerra all’Austria-Ungheria, tutte le attività sportive vennero sospese e tutte le sezioni della Lazio (calciatori, podisti, nuotatori, pallanuotisti, ginnasti e semplici soci) spedirono al fronte i loro ragazzi migliori.

E’ in questi giorni cosi’ cupi che il Presidente Ballerini, dando conferma delle proprie nobilissime virtu’ d’animo, decise di trasformare il campo della Rondinella in orto, al fine di sfamare, seppure parzialmente, la popolazione della città. Ballerini apri’ le porte della società anche alle donne, creando una speciale sezione femminile deputata, in quegli anni tragici, ad accudire i figli di coloro che erano al fronte o, peggio ancora, deceduti, e promuovendo una serie di meritorie iniziative benefiche e di solidarietà.

Proprio la decisione di Ballerini, che aveva trasformato il campo di pallone della Rondinella in un “orto di guerra”, sarebbe stato il 2 giugno 1921 premiato: quel giorno, infatti,la Lazio, in virtu’ di quel mobilissimo gesto, con Regio Decreto venne dichiarata “Ente morale” per meriti sociali, culturali e sportivi, unica società del panorama calcistico a potersi fregiare di tale riconoscimento. Lo stadio della Rondinella assunse il suo aspetto definitivo nel 1924, quando venne inaugurata la prima tribuna in legno. Era colorata di bianco e celeste e poggiava su una base di mattoni dove vennero ricavati quattro spogliatoi con annesse docce, la casa del custode del campo e un magazzino zeppo di reti, tute e palloni. Gli spalti si sviluppavano poi sugli altri tre lati del terreno, portando la capienza a quindicimila spettatori. I lavori di ristrutturazione vennero eseguiti dalla ditta Di Zitto & C. La storia ed il fascino della Rondinella svanirono all’improvviso, in una notte del 1957. Un incendio furioso inghiotti’ le tribune e il custode di allora, Giulio Scio’, destinato negli anni a seguire a tramandare il proprio cognome al servizio della Lazio, si salvo’ a stento, al pari della famiglia.La Lazio, che fino ai quei giorni, vi si allenava si trasferi’ cosi’ a Tor di Quinto, inaugurando un’altra storia romantica e zeppa di palpiti, coincisa col primo, fantastico scudetto.

Quel che restava della Rondinella – in coerenza anche col nuovo Piano regolatore di Roma, ormai volta verso i favolosi anni Sessanta – venne abbattuto e trasformato in un parcheggio, quello che oggi compare dietrola CurvaNord dello stadio Flaminio.

G.Bic.