Il corriere espresso aveva bussato a Montecatini Terme, dove si era ritirato, consegnandogli una maglia biancoceleste con, impressi sulle spalle, il numero degli anni che compiva: ottantotto. Era un omaggio che la Lazio di Sergio Cragnotti (era il 2002) volle fare ad uno dei suoi campioni olimpici: Giuseppe Baldo, classe 1914, ritratto nella foto del Centro Studi Nove Gennaio Millenovecento, mediano di grandissima classe che compose, con Ramella e Gualtieri, l’asse di centrocampo di una delle Lazio più forti della storia. Veneto, arrivò in biancoceleste nel ’35, ingaggiato dal Padova. Alla Lazio sarebbe rimasto sette anni, mettendo assieme quasi duecento presenze complessive, condite pure da reti importanti. Uno dei campioni olimpici della Polisportiva, per questo una sorta di leggenda. Valorizzato dal citti’ Pozzo, convocato senza remore per i Giochi di Berlino del ’36, quelli contraddistinti dalle corse ribelli del nero Jesse Owens davanti ad Hitler. Assieme a Gabriotti, Baldo portò in parte pure la Lazio ai Giochi tedeschi. E incise, eccome, con presenze decisive, nella conquista di quel l’oro nel torneo di calcio, risorsa esclusiva che, ancora oggi, può esibire la FIGC. Poteva vincere di più nella Lazio, Baldo: uno scudetto, ad esempio, quello del ’37, perduto sul filo di lana ad opera del Bologna, nonostante le reti a mitraglia di Silvio Piola. La Coppa dell’Europa Centrale, poi, svanita per il blitz allo Stadio del Partito da parte del Ferencvaros. Dopo essersi laureato, divenne uno stimato funzionario del Coni. Sempre con un occhio di riguardo verso la ‘sua’ Lazio, la squadra che, pur ad un veneto coriaceo come lui, era entrata nelle vene. Tanto da lasciare in eredità uno stupendo ‘testamento’ sul significato della Lazialita’. Una video-intervista, registrata prima della morte, avvenuta nel 2007, che presto dovremmo svelare. Perché la Lazialita’ che intendeva Giuseppe Baldo, una delle nove leggende d’oro olimpiche della Polisportiva, e’ dono che non va disperso. G.Bic.