Cari fratelli Laziali,
ritorna Lazio Juventus, una partita che non potrà mai essere
come tutte le altre. Forse perché, da bambini, quando non si ha ancora piena
consapevolezza di cosa voglia dire vivere in modo simbiotico con la propria squadra,
la Juventus destava sempre una certa impressione, anche per via di quel suo
nome “esotico”. Derby a parte, quella con la Juve è sempre stata una sfida
particolare, un richiamo al calcio primordiale, una partita dal fascino
irresistibile al quale, nonostante la deriva estetica della divisa da gioco
juventina - non ci abitueremo mai.
Arriviamo a questa sfida nelle migliori condizioni
psicologiche. Anche “restituendo” i punti di penalizzazione al club torinese,
saremmo terzi in classifica. La Lazio di Sarri sta viaggiando con la stessa
andatura, a parità di giornate, della Lazio campione d’Italia del 2000. Questo
la dice lunga sulla dittatura che il Napoli sta imponendo al resto della Serie
A.
Oggi vi proponiamo un Lazio Juventus da sapore dolceamaro,
forse il più potente spartiacque tra due generazioni di tifosi: quelli che
videro giocare insieme Giordano e Manfredonia e quelli che li
conobbero mentre indossavano le stesse maglie di Diego Armando Maradona e
Michael Platini.
Torniamo indietro al 19 maggio 1985, alla trentesima ed
ultima giornata di un campionato orribile.
Ludicra pugna horribilis il campionato 1984-85: Giorgio
Chinaglia ha affrontato la sua esperienza presidenziale con la stessa
arrendevolezza di un amante perdutamente innamorato della sua donna. Per troppa
passione non ne ha azzeccata una, a cominciare dalla gestione della guida
tecnica: al tenace Paolo Carosi ha concesso un mese e mezzo. All’uterino
J.C. Lorenzo ha invece consegnato, chiavi in mano, il mezzo necessario per
farci andare dritti in serie B. Nulla ha potuto il duo campione di Lazialità Lovati-Oddi
per evitarci una retrocessione annunciata con tre mesi di anticipo.
Prima di Lazio Juventus, Oddi ha chiesto ai suoi giocatori
una cosa soltanto: “chiudere con dignità, affrontare la discesa con dignità”.
Forse mai come in ottantacinque anni di storia, il destino appare
già segnato per la maggioranza della formazione: Orsi, Calisti, Podavini,
Vianello, Filisetti, Manfredonia, Fonte, Garlini, Giordano, Laudrup e Dell'Anno.
Con Arcadio Spinozzi seduto in Monte Mario per
infortunio (reintegrato in rosa dopo la lunga purga lorenziana), Giancarlo Oddi
si accomoda per l’ultima volta in panchina insieme a Cacciatori, Storgato,
Marini, Torrisi e al suo vecchio compagno della Lazio del ‘74, Vincenzino
D’Amico.
Il campionato è stato deludente anche per la Juventus,
totalmente concentrata sulla Coppa dei Campioni. Giovanni Trapattoni
può dunque provare la sua migliore formazione in chiave anti-Liverpool.
Tra dieci giorni si disputerà la finale di Coppa allo stadio Heysel e
con la testa i suoi giocatori sono già a Bruxelles: Tacconi, Favero, Cabrini,
Bonini, Brio, Scirea, Koetting, Tardelli, Paolo Rossi, Platini e
Vignola. In panchina vanno Bodini, Dolcetti, Limido e due ragazzi dall’aspetto signorile
che da grandi non sfigurerebbero affatto come allenatori: Stefano Pioli
e Cesare Prandelli.
Pierluigi Magni è arrivato da Bergamo la sera prima. È
un arbitro esperto e sa bene che nonostante sia un testacoda senza valore ai
fine della classifica, è pur sempre un Lazio Juventus. Tutta l’Italia
calcistica attende di assistere all’ultima di Giordano e Manfredonia insieme. Molto
più del vero superstite della Banda Maestrelli, l’umile e salvifico D’Amico
- i due ex Primavera si sono ritagliati uno spazio tutto loro nell’immaginario
del tifoso laziale. Hanno rappresentato – spesso indegnamente – il lascito post
scudetto, la cui stella ha brillato troppo poco, per qual ria sorte e qual
suo danno.
La tifoseria gli ha sempre concesso tutto e perdonato qualsiasi
cosa. Ma oggi è un nuovo giorno e sta per aprirsi un’epoca nuova: è il terzo
minuto, Fonte scende lungo la fascia destra, sotto tribuna Tevere, sul
suo lancio interviene Garlini, poi il pallone perviene a Giordano
che lo mette in rete. Bruno esplode, indirizza il pugno rabbiosamente verso la
curva Nord e viene immediatamente subissato da fischi e rimbrotti. Non sono passati
che tre minuti quando nuovamente Bruno sgancia un missile verso la porta di Tacconi.
La sfera si infrange sulla parte bassa della traversa rimbalzando violentemente
in campo. Il pubblico si agita, è il momento del rimpianto, per le tante –
troppe – occasioni perdute, contro Udinese, Verona, Cremonese, Torino e
Fiorentina. Partite andate storte per un nonnulla. Ci pensa Platini a
riportarci nel presente. È il 12’ minuto: Magni concede una punizione ai
bianconeri. Sotto curva Sud, al limite dell’area: dalla sua mattonella, Platini
è semplicemente perfetto e fa 1 a 1.
Sugli altri campi le partite sono quasi tutte sullo 0 a 0, qui
a Roma la partita è spettacolare. Forse perché per la Juve è quasi un
allenamento mentre noi giochiamo con la leggerezza di chi - tranne la faccia – non
ha più nulla da perdere.
È una fase di stallo in cui, dalle tribune, partono cori
pro-Chinaglia inframmezzati da fischi, indirizzati per lo più a Giordano e
Manfredonia. Al 34’, un’azione abbastanza anonima della Juventus si trasforma
in un’occasione per Koetting che non segna ma fa segnare Brio,
che interviene nell’azione avviata dal suo giovane compagno di squadra: 1 a 2.
Si rientra negli spogliatoi in un clima surreale. Fa caldo
ma non è affatto estate, è una domenica di serie A ma a livello psicologico siamo
già in Serie B; non sappiamo quando ritorneremo a riveder le stelle e ci
assale l’ansia. In Sud, lungo la vetrata che delimita la curva dalle piste di
atletica, è stato affisso uno striscione che suona come un ultimo, tenero
omaggio al presidente Chinaglia: grazie lo stesso.
Ma è una frase dovuta, di circostanza. Ben altre emozioni
attraversano la mente dei tifosi. Non bastassero gli addii di Bruno e di Lio,
anche Batista e Laudrup sono con le valigie in mano. Vincenzo
D’Amico è praticamente un ex calciatore. C’è un’intera rosa da ricostruire e
una tifoseria da riconquistare. Ma soprattutto, c’è una generazione di
Laziali da salvare: sono bambini, hanno tra i 7 e i 10 anni, resisteranno
al richiamo delle sirene? Quelle della Roma in primis, ma anche a quelle della
stessa Juventus. Per l’ultima giornata, molti tifosi, anche alcuni abbonati, hanno
preferito andare a svagarsi al mare. È un momento difficilissimo, troppi
pensieri, per fortuna il secondo tempo inizia un minuto prima.
Al 15’ c’è un cross di Brio, lasciato libero di scendere
lungo la sinistra, sotto Monte Mario: cross pennellato per la fronte di Gaetano
Scirea che insacca in tuffo, alle spalle di un non impeccabile Fernando
Orsi.
Lo stadio rumoreggia, dall’ 1 a 0 all’ 1 a 3 è stato un
attimo, un capovolgimento rapido e spietato, specchio fedele di come la Lazio abbia
gestito la stagione, in modo scellerato. Ciononostante, continuiamo ad
attaccare e a collezionare calci d’angolo. La Juventus sembra rilassarsi ma a
noi, seduti in modo scomposto, non interessa più di tanto. Non ricordiamo,
nella nostra memoria di tifosi, una partita priva di tifo eppure “rumorosa”,
con un pubblico combattuto, agitato, arrabbiato, emozionato.
Nell’anarchia più completa, all’Olimpico vengono aperti i
cancelli che delimitano i settori. In curva Nord il clima è teso e scegliamo di
riparare in tribuna Tevere, in cerca di un maggiore equilibrio emotivo. Macché!
Al 67’ vediamo Lio, molto più algido rispetto al suo gemello
Bruno, sfilare sotto ai nostri occhi, scivolare elegantemente lungo l’out di
sinistra e passare un pallone perfetto a Garlini, che viene falciato al primo
tentativo di allungo: è rigore, è un nuovo “pretesto” per molti di noi per
fischiare Giordano, perché sappiamo che non sbaglierà la trasformazione. Bruno
tira una bomba che s’insacca nella parte opposta all’angolo scelto da Tacconi.
Nuovamente Giordano agita il pugno in segno di sfida e ci tocca di nuovo
ritrarci, perché non vogliamo assistere alle “mini risse” tra fratelli Laziali,
contrapposti, tra difensori ed accusatori, del più iconico e controverso centravanti
degli ultimi cinquant’anni della nostra storia: Bruno Giordano.
Sul 2 a 3, allo stadio l’atmosfera si fa ancora più strana: siamo
in totale 35.000, gli juventini che affollano la Sud ci rispettano, sanno che,
neanche troppo di nascosto – abbiamo tifato per loro negli ultimi cinque anni.
All’improvviso, ad un quarto d’ora dalla fine, Lele
Podavini (ritratto nella bella immagine di SS Lazio Museum, che
ringraziamo) segna il più bel gol della sua carriera e ci porta sul 3 a 3, ci
sembra di non avvertire emozione alcuna.
Sullo stadio scese un senso di pace, al termine della
stagione orribile. Il tifo però non riprese, nemmeno quando, al Novantesimo, l’innocente
Michael Laudrup lambì con un pallonetto l’incrocio della porta di Tacconi.
Sarebbe stato il 4 a 3 e la Juve avrebbe perso meritatamente.
Mentre scrivevamo questo articolo abbiamo preso coscienza dei tanti personaggi, i grandi campioni che ci hanno lasciato, da una parte e dall’altra, in questi quattro decenni. Li ricordiamo oggi, con l’affetto di sempre. Sabato sera, Sabato Santo, sarà un grande spettacolo. Forza Lazio!
Ugo Pericoli