"Lo vedi quel signore che gioca a tennis? E’ Clemente Serventi. Sai chi è?” Certo che lo so, rispondo a Guido Baccani che, nella sconfinata valle delle anime, e’ venuto a prendermi. Un’ora o poco meno con il gruppo dei ragazzi del ‘15 e poi di nuovo giù, veicolando le loro riflessioni nei giorni che accompagneranno al quinto anniversario dell’inizio della rivendicazione dello scudetto “ex aequo”. Clemente Serventi, quassù, si diverte ancora a giocare a tennis. In questa disciplina era una istituzione tanto da partecipare all’edizione delle Olimpiadi di Parigi del 1924. Prima aveva fatto il portiere di calcio difendendo i pali della Lazio. Alternandosi, tra il 1913 e il 1915, proprio nell’annata incriminata, con Forlivesi e Rossini sulla nostra linea di porta. A conferma che i nostri primi atleti erano pionieri polivalenti, in grado di eccellere in più discipline. Praticate col vento in poppa, mica da comprimari, anzi da eccellenti protagonisti. “Quindi sai chi era Serventi...”, mi risponde Baccani, un po’ sorpreso. “Certo, Guido, la vostra storia è ormai nota a tanti Laziali che si sono gradualmente affezionati a questa rivendicazione. Diedero lo scudetto al Genoa dopo che era finita la Prima Guerra Mondiale senza un perché. Ma voi, quassù, parlate spesso di questa vicenda?”, domando a Guido. “Qui c’è tempo a sufficienza per riavvolgere il nastro della nostra vita. E anche delle nostre vite da atleti. Certo che ne parliamo... lo chiediamo simpaticamente anche a Maranghi, che era genovese ma che giocò con noi dal 1912 al 1922, raggiungendo con noi anche le finali scudetto del 1913 e del 1914. Lo facciamo simpaticamente, certo... Lui, d’altronde, che risposte potrebbe darci?”. Chiedo a Guido Baccani - che fu l’allenatore di quel gruppo - perché all’epoca, finita la guerra, i suoi compagni non convinsero la Lazio a intraprendere da subito quella battaglia: dovevamo disputare la finale scudetto contro il Genoa e nessuno ci considerò. Assegnando furtivamente, visto che mai venne trovato un documento ufficiale, il titolo ai rossoblu’. “Ma che vuoi... molti di noi erano tornati dalla Guerra... sul calcio non c’era l’attenzione che so che oggi voi avete... Era un Paese che aveva vinto la Guerra ma che era sommerso da mille problemi. C’era fermento, certo, ma non per lo sport. E poi noi neanche sapevamo come eventualmente stilare un ricorso... Alla Lazio poi, nel ‘21, arrivo’ comunque il prestigioso titolo di Ente Morale per aver riciclato il suo campo da gioco in orto di guerra. Per sfamare gli orfani di tanti papà morti al fronte...”. Proprio Baccani mi indica le anime di tutti coloro che fecero parte di quell’avventura biancoceleste, 105 anni fa. Erano insieme in campo e lo sono anche qui, tra le nuvole. Ognitanto fanno capolino e orientano qualche successo della Lazio di oggi. E’ successo a Cagliari, nel dicembre scorso. Già perché un po’ tutti, quel lunedì sera, avevamo pensato che sarebbe servito un intervento divino per ribaltare quella sfida in salita. Come accadde. Come conferma Baccani, strizzando l’occhio. Camminiamo mentre i minuti passano: non c’è molto tempo, ancora. “Li vedi quei due?”, mi dice Guido. “Sono Rossini e Forlivesi, due nostri portieri. Forlivesi il 22 maggio 1915 venne assegnato al terzo Reggimento del Genio Militare come telegrafista. Dimmi come avremmo potuto giocare quella finale se molti di noi partirono per il fronte... Ma la Federazione lo sa questo?”. Racconto a Guido, allora, l’immane lavoro di Gian Luca Mignogna e dei suoi scudieri. “Lo sai che ci hanno passato notti intere cercando riscontri a quella vera ingiustizia? Hanno messo assieme più di mille pagine. Guido, dai retta: e’ un dossier a prova di bomba. E quando ci daranno quello scudetto alzeremo tutti gli occhi al cielo e vi cercheremo tra le nuvole. Sperando di farvi felici...”. “E ci fareste felici” - svela Baccani. “Quel gruppo aveva già raggiunto le finali scudetti del ‘13 e del ‘14. Non aveva usurpato nulla. Avremmo perso la finale con il Genoa? Può essere. Ma perché dare loro lo scudetto? Adesso lo assegnino per metà anche a noi, allora, sanando una ingiustizia ultracentenaria...”. Tutti gettano uno sguardo verso quello strano tandem che avanza. Baccani è in versione Caronte. Io appena un passo dietro di lui. “Guarda laggiù’. C’è Levi. In guerra fu ferito due volte. Fu podista e ciclista. Amava lo sport profondamente. Poi, appena dietro a lui, ecco Amici e Terrile. Poi c’è Luigi Saraceni, il fratello di Fernando. Te lo ricordi?”. Scherzi, Guido? Chi tra i Laziali non sa chi sia Cecè Saraceni? L’uomo dal tiro folgorante, che ruppe il vetro della carrozza, a Villa Borghese, dove era seduta la moglie del Prefetto di allora, Annaratone. “Laggiù c’è Bona”, prosegue Guido. “Partì per il fronte con il grado di Sergente del 13emo Artiglieria. Era titolare nella squadra del ‘15”. Bona si avvicina. “Guido, se cammini per altri cento metri incontri il resto della nostra squadra...”. “Ma siete tutti vicini?”, chiedo a Guido con la voce rotta dall’emozione. “Quando muori è bello vivere l’Aldila’ con anime con le quali, nella vita terrena, hai passato tanti momenti. Belli e brutti. Noi siamo stati meravigliosamente bene in campo. E sul fronte ci siamo difesi uno accanto all’altro. Eravamo in simbiosi. Ed è confortante essere ancora qui, tutti vicini...”. Ed allora, d’incanto, ecco gli altri. C’è Donati che giocò fino al 1915 quando partì militare per salire al fronte come soldato semplice del Secondo Granatieri. C’è Corrado Corelli, che era stato strappato alla Virtus da Santino Ancherani. Lui tornò dalla guerra con una medaglia di argento al valor militare appuntata sul petto. Mica erano solo bravi giocatori, i nostri. Era gente che non aveva paura di nulla. Capace di nuotare con disinvoltura nelle acque del Tevere e di imbracciare un moschetto, attaccando strenuamente i campi nemici. Ecco Maranghi, un genovese che si legò ai nostri colori. E poi Cella. E ancora Consiglio, il bomber dell’epoca. Morì giovanissimo, a 38 anni. Era bravo in campo e spesso sostituiva Ancherani, impegnato a Piazza di Spagna con la banda del Maestro Vessella. Che Lazio, ragazzi! E che grinta, che attaccamento quel gruppo... Si avvicina Grasselli, che sul fronte fu soldato semplice della 81ema Brigata Torino, quella che era soprannominata “la brigata dei Romani”, Furia - un bresciano che poi divenne un bravo costruttore edile e guai a chi gli toccava la Lazio - e Coraggio. Già, Coraggio: scovato da Ancherani al culmine di una leva indetta a Piazza D’Armi, anche lui partito per la guerra. Baccani chiama tutti. E tutti rispondono con un cenno del capo. La visita è finita. Devo tornare perché il tempo e’ scaduto. Non dite e non pensate che la Lazio 1915 sia solo una pagina ingiallita. E che meriti solo il perenne oblio. Macché, pure su questa nuvola biancoceleste si aspetta giustizia... di Giorgio Bicocchi