L’ultimo della nidiata ad andarsene fu Alessandro Capponi, qualche anno fa. Sfogli la storia della Lazio e l’avventura dei pulcini di Vienna è evento che non può non affascinare. Per le modalità, i resoconti di un pallone antico, quelle maglie celesti – con un pulcino d’oro ricamato sul cuore – indossate con baldanza dai nostri ragazzi. Invitati nel tempio (allora) del calcio mittleuropeo. Giubilo Giovanardi Palombini Di Santo Corbelli Palma A.Mancini A.Longhi Vettraino O.Longhi Capponi: ogni Laziale che si rispetti dovrebbe ripetere quest’undici come una litania. Eccoli, i pulcini di Vienna, l’orgoglio della Lazio prima della Grande Guerra. Ragazzini talentuosi che incantarono il commissario tecnico della nazionale austriaca, Meisl, venuto, un giorno di maggio, al campo della Rondinella per salutare il suo connazionale Sturmer, all’epoca allenatore biancoceleste. Scambi di prima, scatti, lanci, pallone da un fronte all’altro. Il festival della tecnica pura: impossibile non restarne ammaliati. L’invito partì una volta che Meisl ebbe fatto ritorno a Vienna. I pulcini biancocelesti, al Prater di Vienna, avrebbero così affrontato, l’11 giugno 1933, i pari grado del Wacker, prima della partita internazionale Austria-Belgio. Un vanto – quello di essere invitata a Vienna – che la Lazio custodì con orgoglio. Quella gara finì uno a uno, con la Lazio che passò in vantaggio, ripresa nella seconda frazione dagli austriaci. Ed eccola la foto che vedete, grazie al Centro Studi Nove Gennaio Millenovecento, che oggi – a ben 87 anni di distanza – estraiamo dall’oblio. Sergio Longhi ha riaperto l’album dei ricordi. Lui, il figlio di Otello, il nipote di Armando, ebbe la fortuna di ascoltare direttamente dalla voce degli avi, oppure con il conforto di foto e di articoli dei giornali dell’epoca, quella magica avventura. Il senso di quella squadra, il viaggio in treno per Vienna, i rapporti tra Otello e Armando, la loro carriera futura: c’è tutto nella sua ricostruzione. Riavvolgiamo allora i suoi virgolettati, ecco la storia dei pulcini di Vienna. Lungotevere Flaminio, provenivano tutti da lì – “Fu una bellissima storia di amicizia, quella dei pulcini. Amici in campo, tutti per uno, uno per tutti. Si allenavano due volte alla settimana su uno dei campi della Rondinella. E poi tornavano a casa tutti assieme, ripensando ad un gol fallito o magari ad una azione non concretizzata. Trascinandosi le borse da gioco. Gran parte di quella formazione, infatti, ad esclusione di Giubilo, abitava nella case popolari di Lungotevere Flaminio, poco prima di Piazza Melozzo da Forlì. Giocavano, correvano, allenandosi pure sulla terrazza di quei palazzi. E papà mi diceva sempre che, quando la palla rotolava giù per le scale o, peggio ancora, finiva in strada, era lui, il più piccolo del gruppo, a doverla rincorrere e riprendere. Riportandola poi in terrazza”. Il viaggio per Vienna – “Tutta la squadra aveva un debole per Ezio Sclavi, il capitano della prima squadra. Il grande portiere, uomo di straordinario coraggio. Per molti di loro era una sorta di fratello maggiore. Gli avevano appiccicato un soprannome, mi raccontava sempre papà: Carnera, come il pugile che varcò l’Oceano in cerca di fortuna, combattendo e riportando in Italia la corona mondiale. Per loro era un vincente. Un campione. Nessuna sorpresa, allora, quando, assieme al Generale Vaccaro, Sclavi accompagnò i pulcini alla stazione Termini, in partenza per Vienna. Sclavi e molti altri giocatori della Lazio di allora diedero coraggio ai ragazzi, dandogli appuntamento per il ritorno. Quel viaggio, complessivamente, sarebbe durato cinque giorni. Arrivarono a Vienna dopo oltre ventiquattro ore trascorse in carrozza. Papà Otello mi raccontò come l’organizzazione austriaca fosse eccellente. Vennero accolti come fossero piccoli principi, con mille premure. Alloggiarono in un albergo pieno di luci. Fu un viaggio emozionante, non solo per la partita disputata al Prater, uno degli stadi più belli d’Europa. Papà mi disse che la squadra e gli accompagnatori vissero ore spensierate nella cena ufficiale, andata in scena in uno dei ristoranti più rinomati della capitale”. Papà e zio Armando – “Nella nostra famiglia, negli anni Venti, c’erano cinque fratelli. Quattro di essi, tra cui zio Armando, partirono per la guerra d’Africa. Si, la stessa a cui partecipò, come fante del deserto, Fausto Coppi, un altro tesserato della Lazio. Era consuetudine allora che il fratello più piccolo, se gli altri erano partiti per il fronte, potesse restare a casa. E così accadde per papà Otello: fu mio nonno a recarsi personalmente al Ministero della Difesa per ottenere che rimanesse a Roma. E così avvenne. Come erano papà e zio Armando in campo? Grandi giocatori, giocatori tecnici. Pieni di lampi di classe. Intuizioni. A chi poteva assomigliare papà come tipologia di giocatore? Ad Hamrin, mi diceva sempre. Zio Armando, però, era più forte. A chi potevamo paragonarlo? A fenomeni come Careca e Giordano. Mi ricordo che una volta li accompagnai ad una gara per vecchie glorie, in Campania. Avevano quasi sessanta anni ma effettuavano lanci di cinquanta metri, mettendo la palla sui piedi dei compagni. Mi accorsi allora di quanto avrebbero potuto incidere se la loro carriera avesse preso una piega diversa. La fortuna, lo sapete, incide, eccome, nel futuro di ognuno. Papà subì invece un infortunio al menisco in una partita del 1939. Una fesseria, se fosse accaduto ai giorni d’oggi. Allora, però, per un problema del genere, uno rischiava di finire la carriera. Fu così che, ceduto dalla Lazio, si ritrovò in provincia. Zio Armando, invece, tornò debilitato dalla guerra in Africa, accontentandosi di giocare tanti anni in serie minori, a Marsala, incidendo parecchio, come il recente libro del giornalista Salvatore Lo Presti, ‘Azzurro come Marsala’ ha raccontato con dovizia di particolari. Papà giocò diversi anni a Nocera Inferiore. Il destino gli fece conoscere mia madre: fu, dunque, una esperienza che segnò la sua vita. E una volta – era la fine degli anni Quaranta – papà e zio Armando disputarono, uno contro l’altro, persino un Nocerina-Marsala, gara di un campionato di serie C. Caratterialmente erano molto diversi: papà era un introverso, di poche parole. Zio Armando era un tipo estroso”. Sturmer, l’inventore dei pulcini – “Prima di essere chiamati pulcini erano stati soprannominati microbi. La loro prima apparizione avvenne prima della disputa di una partita, Lazio-Foligno. Era stato l’allenatore austriaco Karl Sturmer a dedicarsi a quel compito: plasmare giocatori veri, effettuare leve in cui scegliere ragazzi che valevano, che esibivano doti e virtù. E i ragazzi diventarono sempre più bravi. Papà Otello era del ’21, zio Armando, uno dei migliori prodotti di quel vivaio, era del ’17. Per un beffardo scherzo del destino morirono entrambi quando avevano ottantasei anni. Prima Armando, poi papà. Mi hanno sempre detto che l’Alfa Romeo di Ezio Sclavi era il loro passatempo una volta terminati gli allenamenti. E Sclavi non batteva ciglio quando se li ritrovava sdraiati sui sedili, quasi emozionati all’interno di una macchina che, all’epoca, era un vero gioiello. Scene e storie di un calcio che non c’è più. Romantico e bellissimo. Il venerdì Sturmer portava i ragazzi in una sala, all’interno della Rondinella, per una lezione che oggi definiremmo di tattica. Era una sorta di laboratorio, quella Lazio. Con Sturmer che si affezionò gradualmente a quelle sue creature. Aveva insegnato loro a muoversi per il campo come un orologio svizzero. Sincronismi perfetti, una bellezza vederli giostrare per il campo. Una volta decine di auto biancocelesti lì accompagnarono a Velletri per una esibizione. Finì dieci a zero, figuratevi. Fioccarono gli articoli, Roma laziale e non solo si stava appassionando a quella squadra. Sturmer, ormai, ne allevava e ne cresceva sempre di più. Tanto che, per farli allenare, undici contro undici vennero create due squadre, chiamate ‘Faccani’ e ‘Saraceni’, in onore di due grandi interpreti della Lazio che fu”. La partita – “Pronti, via. La Lazio andò subito in vantaggio grazie ad uno spunto di zio Armando. Il portiere austriaco pasticciò e per Capponi fu un gioco da ragazzi segnare. Tutto lo stato maggiore della Lazio, in tribuna, gongolava. Accompagnato dal Presidente federale Vaccaro, che, tra i pulcini, allineava pure uno dei figli. Nel secondo tempo il Wacker pareggio’ ma i giovani biancocelesti, ormai, avevano conquistato il Prater, i tifosi austriaci e la stampa che, il giorno successivo, fu prodiga di elogi verso quella squadra-spettacolo. Papà mi raccontava sempre che, secondo lui, gli austriaci, grossi e pure legnosi, parevano avessero più anni dei pulcini. Sembravano essere degli juniores, insomma. Furono presi d’infilata dalla classe dei pulcini: spesso in affanno. Applausi a scena aperta, prima di Austria-Belgio, partita internazionale, andò in scena, pertanto, un grande spettacolo”. Il ritorno alla Stazione Termini – “Il Presidente federale Vaccaro aveva anticipato di qualche ora il ritorno a Roma, precedendo i ragazzi, superbi nella loro tuta azzurra, scelta per viaggiare più comodi. Quando il treno arrivo’ alla Stazione Termini i ragazzi vennero accolti come fossero dei predestinati. Sclavi, da grande capitano, guidava la prima squadra, schierata sulla banchina. La Lazio, negli anni successivi, si ricordò sempre di quell’impresa: rammento che a casa, negli anni Settanta, arrivava sempre, a settembre, un abbonamento per le partite all’Olimpico della prima squadra. Lenzini, un giorno, donò a quelli che erano stati i pulcini di Vienna anche una medaglia commemorativa della gara giocata contro il Wacker’. Una storia d’amicizia – ‘Papà mi diceva che Vettraino, che all’epoca era alto solo centotrentaquattro centimetri, era uno dei giocatori più talentuosi di quella squadra. Con lui – ma anche con altri compagni – papà Otello rimase in contatto. Se seguiva il calcio una volta smesso di giocare? Aveva una passione per il Torino: dopo la guerra, quando lui si spostò sui campi di provincia per continuare a giocare a calcio, il Toro era il Toro, piegato solo dallo schianto di Superga. La Lazio, tornato a Roma, continuò a seguirla. Ma i palpiti della scuola di Sturmer, delle gare dei pulcini e di quel viaggio indimenticabile a Vienna, vanto dell’Italia sportiva, erano ormai sfumati”. G.Bic.