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Via Appia: la favola della ‘diga’ inizio’ da qui. Romolo Alzani, classe 1921: per la Lazio e’ stato una eccellenza. Fedeltà’ dedizione, senso di appartenenza. Un amore forte, sconfinato: quasi duecentocinquantamila presenze complessive, dal ’45, la stagione in cui apparve alla Rondinella, fino al ’55, quando, a trentuno anni, lascio’ la squadra che aveva nel cuore.
La segnalazione di quel centromediano che possedeva forza, sacrificio, senso della posizione, capacita’ di recupero venne addirittura da Fulvio Bernardini, mica uno qualunque. E la dirigenza di quella Lazio si mise subito sulle sue tracce, finendo per fare, a mente fredda, un autentico affare. Come gran parte di quei giocatori che avevano militato nella Roma, vestendo poi i nostri colori (già, Alzani era cresciuto proprio nelle ‘minori’ giallorosse) l’approccio in biancoceleste si rivelo’, gradualmente, un trionfo.
Prendete il caso di Ferraris IV, dalla Roma alla Lazio. O quelli – ci stavamo avviando nell’era del colore – di Petrelli e Maestrelli. O, storia recente, di Peruzzi. Spesso chi ha giocato nella Roma si è poi consacrato, in carriera, sulla sponda opposta: inutile inquietarsi, e’ la storia che lo narra.
Accadde lo stesso per Alzani che gioco’ – nel Dopoguerra – in Lazio pirotecniche, capaci di essere protagoniste in campionati durissimi, piazzandosi spesso alle spalle delle corazzate del Nord. Accanto a lui, in difesa, compagni ricchi di ardore e classe: segnare a quelle Lazio era oggettivamente una impresa. I fratelli Sentimenti, Remondini, Furiassi, Malacarne. Una ‘Maginot’ difficilissima da perforare. Alzani resse il vessillo per lunghi dieci anni. Felice di esserci perché la Lazio era il coronamento dei suoi sogni da bambino. Marcatore, poi jolly affidabilissimo.
Il Trofeo Herrera, vinto nel ’50 in Galizia? Venne orientato anche da una sua prodezza. In una ideale classifica di dedizione e rendimento sul campo, Alzani occupa legittimamente, in oltre cento anni di calcio biancoceleste, un posto di assoluto rilievo. Giusto, allora, omaggiarne il ricordo. Perché la ‘diga’, Romolo Alzani (ritratto in una romantica foto del Centro Studi Nove Gennaio Millenovecento), con quel vagone di presenze e stagioni da primattore, e’ vanto tutto nostro.
G.B.
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